La “giornata internazionale di commemorazione e dignità delle vittime di genocidio e della prevenzione di questo crimine” è stata istituita nel settembre 2015 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ed il senso della stessa è ben riassunta nelle parole di Adama Deng, l’allora Consigliere speciale delle Nazioni Unite sulla prevenzione del genocidio, il quale dichiarò: “Il Genocidio rappresenta la cosa peggiore dell’umanità. Ricordare gli eventi del passato e rendere omaggio a coloro che sono morti dovrebbe rafforzare la nostra determinazione a impedire che tali eventi si ripetano”.
La giornata designata alla preservazione di tale memoria poi, il 9 dicembre, non è frutto di una scelta casuale. Il 9 dicembre 1948 infatti, è la data in cui è stata adottata la Convenzione sulla Prevenzione e Condanna del Crimine di Genocidio, anche conosciuta come la Convenzione sul Genocidio.
Al suo articolo 1, detta Convenzione statuisce che il genocidio è un crimine a tutti gli effetti così come definito dal diritto internazionale, sia esso perpetrato in tempo di pace o di guerra.
Come tale dunque, deve essere prevenuto e punito.
Ma cosa si intende per genocidio…?
La definizione più esatta e puntuale viene data dalla Convenzione stessa che, all’articolo 2, sancisce che è da considerarsi genocidio: “qualsiasi dei seguenti atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etico, razziale o religioso, tra cui:
- uccidere membri del gruppo stesso;
- causare gravi lesioni mentali o fisiche ai membri del gruppo
- sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica totale o parziale
- imporre misure volte ad impedire le nascite all’interno del gruppo
- trasferire forzatamente i bambini da un gruppo ad un altro.”
In occasione dell’Assemblea che ha stabilito il 9 dicembre come Giornata Internazionale di commemorazione e dignità delle vittime di genocidio e della prevenzione di questo crimine, è stata adottata una risoluzione senza voto nella quale è stata ribadita la responsabilità in capo a ciascuno degli Stati firmatari di proteggere la propria popolazione dal genocidio e conseguentemente, di prevenire il reato e l’istigazione allo stesso.
Questa risoluzione è stata preceduta dall’impegno diplomatico assunto in occasione del Summit mondiale del 2005 dell’Assemblea Generale in occasione del quale gli stati partecipanti si sono impegnati a proteggere la loro popolazione da genocidio, crimini di guerra, pulizia etnica, crimini contro l’umanità e dal possibile incitamento agli stessi.
Per di più, durante il Summit, si è stabilito che, qualora uno Stato avesse bisogno di assistenze per rispettare detto impegno, la comunità internazionale deve scendere in campo per prestare tutto l’aiuto possibile.
Lo stesso vale qualora uno Stato fallisca di proteggere le loro popolazioni da questi crimini e, quindi, quando la prevenzione fallisce.
Da ciò si deduce che la prevenzione è la base del principio della responsabilità di proteggere, da qui il senso di questa giornata di memoria: ricordare serve a mantenere vivo nella collettività l’orrore che accompagna questi crimini, contribuendo così ad evitare il replicarsi delle condizioni che hanno condotto ad episodi così riprovevoli.
Questi che le Nazioni Unite stesse definiscono “tre pilastri della responsabilità di proteggere” sono ricompresi e ratificati nel Rapporto del Segretario Generale del 2009 sull’Implementazione della Responsabilità di proteggere a riprova della grande importanza che gli stessi assumono nel diritto internazionale.
….e come prevenirlo?
L’arma di prevenzione più potente in questo caso è la conoscenza. Bisogna conoscere quali sono i fattori che, in una determinata situazione pongano le basi per giustificare enormi disparità nel trattamento della popolazione di una nazione. Solo così infatti, si può cercare di contrastare le cause che hanno dato origine alla spirale di violenza tipica dei genocidi.
Il conflitto volto allo sterminio etnico, a differenza di tutti gli altri tipi di conflitto, si basa esclusivamente sull’identità.
Proprio per questo motivo infatti, i genocidi si verificano in società in cui coesistono gruppi differenti (che sia per nazionalità, razza, etnia o religione) bloccati in conflitti per l’affermazione della propria identità.
Spesso questa differenza di identità si tramuta in differenze di trattamento, reali o percepite, con riferimento all’accesso alla politica, alla ricchezza, ai servizi, alle risorse, all’occupazione, all’opportunità di sviluppo, alla cittadinanza ed al godimento di diritti e libertà fondamentali.
I campanelli d’allarme che dovrebbero mettere in guardia uno Stato sulla necessità di intervenire sono oltre che le discriminazioni in sé, anche i discorsi diffusi da alcuni membri di un gruppo che incitano all’odio ed alla violenza nei confronti degli appartenenti all’altro gruppo.
Genocidi attualmente in atto nel mondo
Nonostante gli impegni e le promesse degli Stati firmatari della Convenzione sul Genocidio però, nel mondo oggigiorno ne vengono perpetrati ancora molti e spesso la comunità internazionale vi assiste rimanendo colpevolmente in silenzio.
Di seguito, se ne riportano brevemente alcuni a titolo informativo ed allo scopo di far comprendere la drammatica attualità del fenomeno:
- Popolazione cinese di etnia Uigura: recentemente balzata all’attenzione della comunità internazionale a seguito della dichiarazione storica di Papa Francesco che li ha annoverati tra i popoli perseguitati moderni. Nello specifico si tratta di una consistente fetta della popolazione che abita in prevalenza nella regione cinese dello Xinjiang di fede mussulmana. Da anni Ong e le agenzie dell’Onu ne denunciano la drammaticità delle condizioni nelle quali il governo cinese li costringe a vivere. Milioni di Uiguri infatti sono detenuti in veri e propri campi di rieducazione, che di fatto altro non sono che dei veri e propri campi di concentramento. Il governo cinese inoltre, ha poi sottoposto le donne di questa etnia a sterilizzazione forzata provocandone un’enorme contrazione demografica. A riprova di questo sta il fatto che dal 2015 al 2018, il tasso di natalità nella regione dello Xinjiang è passato dai 22 nati all’anno per ogni abitante, agli 8. Il governo cinese continua a negare ogni addebito e nessuna inchiesta internazionale per accertarne la responsabilità e comminare sanzioni è mai stata condotta a riguardo;
- Popolazione Yazida in Iraq: la storia drammatica di questo genocidio è stato portato alla ribalta nell’opinione pubblica da Nadia Murad, insignita del premio Nobel per la Pace nel 2018 per il suo impegno a denunciare e mettere fine al ricorso dello stupro come arma di guerra. Il genocidio al quale si fa riferimento è solo il 74esimo perpetrato nei confronti della popolazione Yazida. Gli Yazidi sono di etnia curda ma se ne distinguono per il credo: sono seguaci dello yazdanesimo, una religione pre-islamica. Per questo motivo sono da sempre stati perseguitati ma nel 2014 questa persecuzione ha raggiunto i livelli della pulizia etnica vera e propria quando l’Isis decide di assassinare, torturare, rapire circa 12 mila yazidi. Si stima poi, che circa 6.800 tra donne e bambini – tra cui Nadia Murad – siano state deportate e sottoposte ad abusi sessuali e ogni genere di violenza. Tremila yazidi risultano ancora dispersi ma, nonostante gli impegni formalmente assunti dalla comunità internazionale, al momento solo 170 di questi sono stati ritrovati.
- Popolazione aborigene dell’America Latina: data la sistematica distruzione della Foresta Amazzonica per mano del governo brasiliano, coadiuvato da quello statunitense e dalle multinazionali, intere popolazioni stanno via via scomparendo. Quelle che rimangono stanno strenuamente continuando la battaglia legale per preservare la foresta e conseguentemente, la loro stessa esistenza. Battaglia questa che, per via dei grandi interessi economici in gioco, sembra essere ormai persa rappresentando una delle maggiori sconfitte della comunità internazionale in quanto quella che grandemente rende manifesta la predilezione della stessa a tutelare il capitale e gli investimenti esteri piuttosto che il diritto alla vita ed alla casa di queste persone.
Purtroppo questi sono solo 3 casi esemplificativi ma genocidi sono attualmente in atto in molte nazioni Africane, in Myanmar, nel Sud-est Asiatico e nel restante dell’America Latina.
Large Movements vuole non solo rendere omaggio alle vittime silenziose e dimenticate di tutti questi genocidi, ma vuole anche stimolare la riflessione sul ruolo che la comunità internazionale potrebbe avere e sulle cause che ne bloccano l’intervento.
Sarebbe auspicabile infatti, una riflessione in ambito politico volta a riconoscere gli errori commessi sino ad oggi ed i motivi che li hanno permessi, così da poter effettivamente sviluppare una strategia condivisa di contrasto ad un fenomeno così brutale – in linea con gli impegni assunti nel sopracitato Summit del 2005 e, da quel momento in poi, reiterati in ogni incontro formale sul tema.
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Presidente Large Movements APS