G20 ed AFGHANISTAN: fotografia dell’ennesimo nulla di fatto

Sabato scorso si è concluso il G20 di Roma che, tra le varie tematiche, avrebbe dovuto presentare proposte concrete per risolvere la situazione in Afghanistan.  

Situazione che noi di Large Movements abbiamo seguito costantemente sin dalla presa di Kabul da parte del regime dei Talebani, avvenuta lo scorso 15 agosto, raccogliendo le testimonianze di coloro che si trovano ancora sul campo e confrontandoci con i rifugiati e gli attivisti che risiedono nel nostro Paese. Grazie a questo continuo scambio e dibattito, abbiamo lanciato un appello – siglato da numerose associazioni, anche europee – contenente delle soluzioni pratiche per fronteggiare i primi momenti dell’emergenza. Appello che è stato portato all’attenzione della Commissaria europea da una delle associazioni aderenti ma che purtroppo è caduto nel vuoto. 

Tutta la società civile dunque, era in attesa di uno degli appuntamenti più importanti per la diplomazia internazionale perché, così come dichiarato dai vari leader europei – primo fra tutti, il premier italiano Mario Draghi – durante le concitate fasi di smobilitazione delle truppe occidentali dall’Afghanistan, quella era la sede più opportuna per risolvere la questione in via definitiva. 

I leader europei infatti, avrebbero “approfittato” della presenza dei Rappresentanti di alcuni dei Paesi confinanti con l’Afghanistan, e soprattutto di Russia e Cina, per mettere sul tavolo tutte le questioni – da quelle umanitarie a quelle economiche, da quelle relative al terrorismo e la sicurezza a quelle dei diritti civili – e trovare una soluzione condivisa da tutti. 

G20 Anticipato sull’Afghanistan: cosa era stato deciso 

Per poter maggiormente favorire il raggiungimento immediato di un’intesa concreta, il premier italiano Maria Draghi ha convocato una sessione straordinaria anticipata del G20 interamente dedicata alla questione afghana e svoltasi il 12 ottobre 2021. 

Al termine di questo vertice straordinario, che Draghi stesso ha definito “soddisfacente e fruttuoso”, i leader hanno convenuto che si dovrà affrontare l’emergenza umanitaria in maniera unificata. Nello specifico, hanno tutti concordato che sia necessario dare “un mandato alle Nazioni Unite, di tipo generale, per il coordinamento della risposta e per agire anche direttamente”. 

E’ pesata fortemente l’assenza dei leader di Russia e Cina e si è auspicato che gli stessi presenziassero al G20 a Roma poiché, come chiaramente sottolineato dai leader europei sin dai primi momenti della nuova crisi in Afghanistan, questi attori svolgeranno un ruolo di primo piano nella stabilizzazione del territorio. 

La Turchia, dal canto suo, ha dichiarato di non aver intenzione di accogliere i profughi afghani perché il suo sistema di accoglienza sarebbe saturo. Dalle dichiarazioni post G20, sembra che Erdogan sia intenzionato a sfruttare questa nuova crisi umanitaria e la ormai tradizionale “paura europea dell’invasione” per ottenere nuove concessioni economiche da parte dell’Unione. 

In ultimo si sottolinea come, al termine dello stesso tavolo, la Commissaria europea ha annunciato di aver previsto lo stanziamento di circa un miliardo di euro in aiuti alla popolazione afghana, così da tentare in tutti i modi di evitare il collasso umanitario e socio-economico del Paese. Ad oggi però non è stato ancora annunciato come si intenda provvedere praticamente al versamento di questi fondi.  

Qualora si optasse per l’affidamento degli stessi all’attuale governo in carica, questo equivarrebbe ad un riconoscimento a tutti gli effetti del regime dei Talebani. Riconoscimento questo che, per lo meno fino ad ora, non sembra essere nelle intenzioni dei leader europei. E le notizie dall’Afghanistan riguardanti le sempre più gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani – soprattutto nei confronti di donne e minoranze religiose, primi tra tutti gli Hazara – e le uccisioni pubbliche non lasciano propendere per una soluzione di questo tipo. 

Molto più auspicabile e sicuro invece, sarebbe l’affidamento di queste risorse (e di tutte quelle che si vorranno stanziare a livello occidentale) direttamente nelle mani delle organizzazioni umanitarie presenti in Afghanistan. Molte di queste infatti, non se ne sono andate e continuano ad operare nonostante le grandissime difficoltà economiche e soprattutto i grandissimi rischi che corrono quotidianamente coloro che vi lavorano e le loro famiglie. 

Attuale situazione socio-economica in Afghanistan 

L’Afghanistan mai come ora ha bisogno di quante più risorse economiche i Paesi occidentali possano mettere in campo dal momento che il 75% dei finanziamenti che coprivano le spese del governo precedente internazionalmente riconosciuto, provenivano da fondi esteri (soprattutto americani). 

Con l’abbandono del campo delle truppe occidentali dunque, non solo i diritti civili e sociali di migliaia di persone sono stati spazzati via ma anche i ¾ dei finanziamenti sono scomparsi perché derivanti da aiuti esteri. Aiuti attualmente bloccati, come abbiamo visto, in attesa di trovare una soluzione concreta al problema della loro erogazione senza che questa implichi il riconoscimento del regime dei Talebani. 

Come se non bastasse, la presenza ventennale occidentale in Afghanistan aveva integrato il Paese nell’economia globale fino ad arrivare all’inaugurazione di una Banca Centrale Afghana che attualmente detiene titoli in dollari all’estero.  

Questi titoli sono stati per il momento congelati dagli Stati Uniti – a dimostrazione di quanto lo stesso sia ancora in grado di determinare le sorti della popolazione afghana anche a distanza. La giustificazione data da Biden a seguito del congelamento dei titoli è che si vuole usare detti strumenti economici per far pressione sui Talebani e stabilire un nuovo tipo di influenza statunitense in Afghanistan.  

Quello che il Presidente americano Biden sembra non prendere assolutamente in considerazione è che, così facendo, impedisce all’attuale esecutivo di pagare gli stipendi pubblici o di finanziare le opere pubbliche, contribuendo direttamente e profondamente ad aggravare la grande crisi economica che sta colpendo il Paese

Multilateralismo europeo e Regionalismo asiatico 

Rimanendo in tema degli strumenti formali che la diplomazia internazionale può mettere in campo per risolvere la crisi in Afghanistan, quello che il G20 ha sottolineato è l’importanza di ricorrere ad un approccio multilaterale. 

Di ben altro avviso però, sono i leader dei Paesi asiatici più direttamente coinvolti nella questione. 

Sia gli Stati limitrofi che quelli vicini all’Afghanistan infatti, stanno cercando di costruire un rapporto di dialogo con il regime dei Talebani nel tentativo di evitare il collasso del governo e un vuoto di sicurezza. Qualora ciò si verificasse infatti, il Paese tornerebbe nuovamente a rappresentare un rifugio per organizzazioni terroristiche causando così una nuova catastrofe umanitaria che aumenterebbe la pressione migratoria soprattutto sui Paesi confinanti. 

Proprio alla luce di questo nuovo asse regionale che si sta delineando devono essere lette le assenze di Russia e Cina al G20 – sia quello sull’Afghanistan che a quello di Roma, insieme ovviamente ad altre differenze di approccio abissali su tematiche fondamentali (prima tra tutti la lotta ai cambiamenti climatici). 

I due Paesi leader dell’economia asiatica infatti, erano entrambi presenti al vertice di Teheran tenutosi lo scorso 27 ottobre alla presenza dei Paesi confinanti – tra cui, si deve sottolineare, anche Iran e Pakistan. Quello che è emerso da questo vertice è dunque la possibilità che dialoghi su come gestire la questione afghana si svolgeranno senza coinvolgere la diplomazia europea e statunitense, il che rappresenterebbe una grande perdita di influenza globale per i due continenti.  

Ecco perché sarebbe stato fondamentale che al G20 di Roma si fosse raggiunta un’intesa concreta su:  

  • quale fosse lo strumento finanziario migliore per devolvere gli aiuti economici promessi dall’Unione Europea alla popolazione afghana; 
  • in cosa consistesse nel concreto il mandato generale che si sarebbe voluto riconoscere all’ONU e chi avrebbe dovuto portarlo avanti nel concreto. 

Conclusioni del G20 di Roma sull’Afghanistan 

Nonostante gli appelli lanciati da vari leader europei a seguito del G20 di metà ottobre, Russia e Cina non hanno aderito al G20 di Roma rendendo ancor più difficile il raggiungimento di una soluzione globalmente condivisa al dramma dell’Afghanistan. Soluzione apparsa quasi impossibile già a seguito dell’annuncio dell’esclusione dal G20 di Roma di Afghanistan, Pakistan ed Iran. Gli ultimi due, Paesi limitrofi fondamentali per il contenimento della pressione migratoria e dove hanno già trovato rifugio migliaia di persone in fuga dai Talebani. 

Tutti i leader presenti hanno ribadito la volontà di ricorrere allo strumento dei corridoi umanitarisenza però definire un’azione concreta e condivisa

L’Italia ha fatto sapere di voler siglare un Protocollo di Intesa tra Ministero della Difesa e degli Affari Esteri e le organizzazioni umanitarie Comunità di Sant’Egidio, Chiese Valdesi, Arci, Caritas, Cei, avvalendosi del sostegno dell’UNHCR. Detto Protocollo dovrebbe portare in Italia circa 1200 afghani nei prossimi due anni. Si sottolinea che l’Onu ha già richiesto che il numero di persone interessate dalla misura umanitaria sia almeno 5 volte superiore se si vuole realmente contribuire ad alleviare la crisi in Afghanistan. 

Dal fronte statunitense poi, il Segretario di Stato Blixen ha annunciato che sarebbero pronti 144 milioni di dollari di aiuti in favore della popolazione afghana. C’è da sottolineare però che questi non sono fondi aggiuntivi rispetto a quelli già promessi prima all’ONU (erano 35 milioni) e poi al G20 dell’Afghanistan (in quell’occasione saliti a 100 milioni). La dichiarazione di Blixen dunque, si deve leggere come un aumento di risorse per la stessa misura già annunciata in varie occasioni. Misura che però al momento, rimane sulla carta.  

In ultimo, si sottolinea come non si sia affatto discusso né di quale possa essere lo strumento finanziario migliore per devolvere gli aiuti alla popolazione afghana senza determinare un riconoscimento del regime dei Talebani, né tantomeno di quali siano i limiti concreti del mandato generale che si vorrebbe conferire all’ONU. 

Non si è nemmeno fissato un appuntamento successivo al momento durante il quale discutere di questi temi per cui è come se per i Paesi occidentali la questione afghana sia passata in secondo piano a fronte delle sfide, economicamente più importanti per i leader, rappresentate da lotta ai cambiamenti climatici e pandemia.  

Noi di Large Movements continueremo a seguire da vicino la vicenda ed a batterci, al fianco della popolazione afghana e delle associazioni della società civile che si occupano della questione, affinché una soluzione concreta venga trovata, sia da un punto di vista economico che umanitario. L’Afghanistan infatti, non può essere semplicemente archiviato come “l’ennesimo fallimento della diplomazia occidentale” poiché attori anti-democratici come Russia, Cina e Turchia rischiano di prendere il sopravvento andando ad aggravare le condizioni di rispetto dei diritti umani fondamentali del Paese. 

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