LM Pride incontra….Armando Maria De Nicola: LM Talks sulla prassi del sistema di accoglienza in Italia per i migranti LGBTQ+

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La rubrica LM Pride vuole chiudere la sua rassegna di eventi interamente dedicata al mese del Pride con uno speciale appuntamento dei nostri LM Talks. 

Ospite della puntata di oggi è Armando Maria De Nicola, avvocato immigrazionista, socio ASGI e membro di AlterEgo – Fabbrica dei Diritti, che da anni assiste migranti, rifugiati e richiedenti asilo durante tutto l’iter di presentazione della domanda di protezione internazionale. 

LM Pride si è occupata in via teorica dell’argomento e l’intervista di oggi rappresenta per noi l’occasione di poter approfondire cosa succede effettivamente nella prassi delle Commissioni Territoriali e dei Tribunali, chiamati ad esaminare la domanda del migrante.  

L’obiettivo ultimo di questo nostro incontro, dunque, è quello di capire se il virtuosismo del legislatore italiano emerso dalle nostre ricerche trovi effettivamente riscontro nella realtà e – in caso contrario – su quali punti la società civile può basarsi per contribuire a migliorare ulteriormente il sistema. 

ACCOGLIENZA E BEST PRACTICES: che lezione può trarne la società civile? 

Come ci conferma l’Avv. De Nicola, sebbene i migranti LGBTQ+ versino in una situazione di ulteriore vulnerabilità a causa del doppio stigma – che il nostro ospite definisce “discriminazione secondaria” – che li colpisce, il sistema di accoglienza italiano non contempla strutture ad hoc nelle quali ospitare queste persone. 

Ecco quindi, che il rischio pratico che i migranti LGBTQ+ accolti nelle strutture dedite alla loro accoglienza siano vessati e/o subiscano qualche forma di discriminazione da parte degli altri ospiti, aumenta esponenzialmente se si decide di vivere la propria identità di genere liberamente.  

Per questo motivo, a supplire alla carenza normativa, arriva la società civile. 

Armando De Nicola ci spiega infatti che ci sono delle best practices messe in atto da alcuni enti del terzo settore, a volte in partenariato con attori istituzionali, nel tentativo di offrire una protezione ulteriore per i migranti LGBTQ+ e, durante l’intervista ce ne racconta alcune: 

  • Quore, associazione operante nel Vercellese che ha avviato il primo progetto di co-housing sociale per persone LGBTQ+ in difficoltà (all’interno del quale ospita anche migranti) e che propone progetti specificatamente dedicati all’accoglienza di questa particolare categoria di migranti; 
  • Rise the Difference, progetto avviato a Bologna e mirante a creare e gestire un centro di accoglienza interamente dedicato ai migranti transessuali; 
  • Africa Arcigay, progetto avviato da Arcigay e mirante soprattutto a promuovere la diffusione dei principi di non discriminazione all’intero della comunità dei richiedenti asilo, nel tentativo di abbattere lo stigma – ed i conseguenti maltrattamenti – che le persone LGBTQ+ subiscono all’interno delle proprie comunità di origine. 

Il nostro intervistato sottolinea poi una necessità che è emersa durante la sua esperienza a contatto con questo tipo di migranti: quella che la società civile si attivi e si muova compatta, prendendo spunto da progetti virtuosi come quelli sopra citati.  

Si deve infatti, innanzitutto alimentare una sana consapevolezza delle differenze – incentivando una cultura della diversità che valorizzi e non criminalizzi un orientamento sessuale piuttosto che il colore della pelle – e contrastare la diffusione della cultura dell’odio, incentivata dai recenti dibattiti politici, portando dati e fatti oggettivi ad esempio. 

LA STRUTTURA DEL MODELLO C3: Consigli pratici di redazione 

Parlando della prassi del sistema di accoglienza, l’Avv. De Nicola ci ha spiegato nel dettaglio come funziona la procedura per la presentazione della domanda di protezione internazionale.  

Prassi che riportiamo di seguito in maniera analitica affinché se ne deducano i passaggi fondamentali da tener a mente nel momento della redazione del modello C3. 

Questo modello è il documento che formalizza di fatto la presentazione della domanda d’asilo. 

Di norma, si compila in Questura e nella prassi si tratta di un mero documento amministrativo – contenente quasi esclusivamente i dati anagrafici del richiedente.  

Formalmente, tuttavia, nel modulo sono presenti le seguenti voci: 

  1. Esigenze specifiche/vulnerabilità emerse o dichiarate dal richiedente; 
  1. Motivi per i quale ha lasciato il suo paese di origine. 

In linea teorica, dunque, se i motivi di persecuzione che hanno portato la persona alla fuga sono legati alla propria identità sessuale, il richiedente potrebbe indicarlo sin da subito utilizzando una delle seguenti diciture: 

  1. appartenenza ad un particolare gruppo sociale”; 
  1. discriminazione per motivi di genere/sessuali” 

Come suggerito dall’Avv. De Nicola, questa sarebbe la strategia preferibile in quanto, dichiarando che la propria identità sessuale è il motivo che ha portato alla fuga sin dal primo momento in cui si avvia l’iter per il riconoscimento della protezione, aumenta la credibilità della storia del richiedente – e conseguentemente le possibilità di vedere la propria richiesta di protezione accolta. 

Per aumentare le proprie chance di veder riconosciuto attendibile il proprio racconto inoltre, suggerisce Armando De Nicola, si potrebbe produrre documentazione a suffragare la propria richiesta d’asilo (es: copia di una tessera che attesti l’appartenenza ad associazioni in difesa dei diritti LGBTQ+; produzione di foto o qualsiasi altro documento utile a comprovare il proprio orientamento e/o la discriminazione subita a causa della propria identità di genere nel proprio paese di origine) 

Sebbene, come abbiamo visto, sia già possibile formalizzare il motivo di persecuzione già all’interno del modello C3, nella prassi viene inserita la dicitura “riferisce/si riserva in Commissione” – il che significa che il richiedente espliciterà in quella sede i motivi che lo hanno portato a fare richiesta di protezione. 

ESAME DELLA DOMANDA IN COMMISSIONE TERRITORIALE: luci ed ombre della presunzione di credibilità 

Una volta compilato il modello C3, questo viene trasmesso dalla Questura alla Commissione Territoriale competente per l’esame della domanda. 

Anche in questo caso, le ricerche di LM Pride, hanno portato alla luce un virtuosismo del nostro sistema di accoglienza, almeno sulla carta. Chiediamo dunque al nostro ospite di raccontarci nella prassi come si concretizza detto virtuosismo. 

L’Avv. De Nicola ci introduce quindi al concetto di “presunzione di credibilità” che si inferisce dall’art. 3 del D.Lgs. n. 251/2007, disciplinante le regole relative all’ “esame dei fatti e delle circostanze”. Nello specifico, detto articolo stabilisce che: 

  • Il ricorrente deve presentare tutto quanto in suo possesso (quindi qualsiasi tipo di documento od atto) utile a dimostrare la fondatezza della propria domanda. Devono essere forniti quindi, elementi attestanti la persecuzione sulla base del proprio orientamento sessuale; 
  • I fatti addotti dal ricorrente verranno ritenuti veritieri se rispettano le seguenti condizioni: 
  1. Il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; 
  1. Tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita un’idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; 
  1. Le dichiarazioni del richiedente sono coerenti, plausibili e non in contraddizione con le informazioni generali inerenti al suo caso; 
  1. Il richiedente ha presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile; 
  1. Dai riscontri è, in generale, attendibile. 

Dalla lettera della legge, si può dedurre quindi che viene garantita una tutela rafforzata al migrante LGBTQ+ nel caso in cui lo stesso – come spesso capita, a causa delle discriminazioni nel paese di origine che costringono queste persone a vivere nell’ombra – sia impossibilitato a produrre prove documentali attestanti la propria identità di genere. 

Come ci riporta Armando De Nicola durante l’intervista però, la prassi delle Commissioni Territoriali è molto spesso altra.  

Durante la sua esperienza professionale ha avuto modo di constatare la presenza di esaminatori con atteggiamento aggressivo durante l’esame che generava un blocco nel migrante, il quale spesso riviveva traumi connessi alle discriminazioni nel paese d’origine. 

Ancora, alcuni esaminatori costringono il richiedente a raccontare dettagli particolarmente intimi della propria vita; altre volte non viene chiesto, contrariamente a quanto prescritto dalla legge, se il sesso dell’esaminatore possa rappresentare un problema per l’intervistato, andandone a ledere la sensibilità. Molto spesso, infatti, e sempre in contraddizione con quanto previsto dalla normativa, non sono presenti in Commissione due esaminatori (di sesso diverso) a causa della cronica mancanza di risorse. 

Il nostro ospite ci conferma però, la maggior tutela della dignità della persona in sede di esame della domanda nelle nostre Commissioni Territoriali rispetto a quello che accade in altri paesi europei, come emerso durante le ricerche di LM Pride.   

In Italia in genere, anche nella prassi, si rispettano i principi dell’Unhcr in merito, secondo i quali l’autoidentificazione” vale come enunciazione dell’orientamento sessuale dell’individuo. 

Nonostante questi principi teorici, come abbiamo visto, la realtà delle Commissioni Territoriali può essere altra e le domande possono essere rigettate perché il migrante non viene ritenuto credibile

Questo può avvenire, come ci racconta l’Avv. De Nicola, per vari motivi: 

  • Commissione ritiene che il ricorrente non abbia circostanziato bene la sua omosessualità; 
  • Il suo racconto viene giudicato troppo poco specifico e privo di coerenza; 
  • Si ritiene che nel paese d’origine del richiedente l’omosessualità è tollerata e quindi non costituisce causa di discriminazione. 

Contro la decisione di rigetto della domanda da parte della Commissione, il richiedente può presentare ricorso ed a tal proposito, il nostro intervistato, richiama una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (la n. 7778 del 18 marzo 2021) della quale si riporta la massima fondamentale, poiché riteniamo possa essere utile per coloro i quali si trovano a dover contestare un provvedimento di diniego: 

In presenza di dubbi circa l’effettivo orientamento sessuale del richiedente la protezione internazionale o umanitaria, ovvero circa l’autenticità dei documenti dallo stesso prodotti a sostegno della sua domanda, il giudice di merito deve disporre, anche in via ufficiosa, gli approfondimenti istruttori ritenuti opportuni al fine di verificare l’attendibilità del racconto e della documentazione a corredo.  

Non è invece possibile ritenere inattendibile il racconto sulla base dell’assunto aprioristico secondo cui la deduzione dell’omosessualità da parte del richiedente sarebbe frutto di una scelta difensiva finalizzata soltanto ad ottenere la protezione invocata 

Del pari, non è possibile far derivare la falsità dei documenti prodotti dal richiedente dal solo fatto che, in un determinato contesto territoriale, il ricorso all’uso di atti falsi sia in aumento” 

Per lo stesso motivo, è molto utile da tenere in mente il richiamo fatto dal nostro ospite agli ultimi rapporti degli osservatori internazionali secondo i quali l’omosessualità costituisce reato ancora in 72 paesi al mondo – alcuni dei quali ritenuti “tolleranti” durante l’esame della domanda in Commissione.  

Questo assunto, infatti, suggerisce l’avvocato, potrebbe essere utilizzato in sede di presentazione della domanda e/o di impugnazione della decisione di rigetto in quanto, al di là di una prova reale della persecuzione subita dall’individuo, la mera appartenenza al genere potrebbe di per sé voler significare il rischio di essere soggetto a trattamenti inumani o degradanti, qualora rimpatriato. Come rilevato anche da LM Pride poi, in alcuni casi le condotte omosessuali sono punite anche con la pena di morte. 

Questo richiamo è fondamentale in quanto, come ci spiega nel dettaglio Armando De Nicola, questi rischi potrebbero integrare gli estremi per il rilascio della nuova protezione sussidiaria

VARIE FORME DI PROTEZIONE INTERNAZIONALE: Consigli per società civile e giurisprudenza a supporto 

Chiudiamo la nostra intervista, ed il nostro excursus nella prassi del sistema di accoglienza, chiedendo ad Armando De Nicola quali raccomandazioni vuole condividere con noi, in base alla propria esperienza professionale, per orientare la società civile e soprattutto il lavoro delle associazioni che si battono per la difesa dei migranti LGBTQ+. 

Anzitutto, la prima cosa che l’avvocato rileva, è la potenzialità insita nel nuovo sistema di protezione speciale il quale, nel testo della norma che la disciplina, inserisce in maniera diretta il diritto alla vita privata e familiare (così come sancito dall’art. 8 della Cedu). 

Attualmente infatti, nella prassi, quasi mai si tiene conto degli effetti che un eventuale respingimento conseguente ad un diniego di protezione possa avere sulla vita della persona. Né tantomeno vengono valutate nel concreto le conseguenze di detto rifiuto in termini di re-integrazione della persona LGBTQ+ nel proprio contesto culturale e sociale.  

Ci si augura dunque che la protezione speciale possa davvero fornire un ulteriore strumento di tutela agli operatori del diritto che assistono questi migranti. 

Sempre nell’ottica di fornire elementi utili per coloro che devono presentare domanda, di seguito si riporta una serie di giurisprudenza recente per valutare nel concreto quando e che tipo di protezione viene riconosciuta: 

STATUS DI RIFUGIATO 

  1. Ad un cittadino nigeriano che aveva allegato alla sua domanda un articolo di giornale nigeriano raffigurante la sua foto, nel quale veniva fatto esplicito riferimento al proprio orientamento sessuale (Ordinanza Tribunale di Bari del 2017); 
  1. Ad un cittadino senegalese che ha dovuto lasciare il proprio Paese in quanto omosessuale. L’ordinanza del tribunale ribadisce quello che deve essere un principio cardine del lavoro delle Commissioni territoriali: le stesse devono mantenere un approccio obiettivo in modo tale da non giungere a conclusioni basate su percezioni stereotipate, inaccurate od inappropriate in merito alle persone LGBTQ+

Nel caso di specie, la Commissione Territoriale aveva negato la protezione internazionale ritenendo che “il narrato dell’istante desta diverse perplessità per quanto attiene alla sua generale credibilità poiché è risultato generico e stereotipato in alcuni elementi, nonché evasivo rispetto ad alcune domande poste dalla Commissione (…)”. A sostegno del ricorrente la difesa legale ha allegato la relazione della psicologa alla quale il richiedente asilo si era rivolto per un supporto psicologico. Nei colloqui il giovane ha dichiarato la propria omosessualità ed il conseguente disagio che ne derivava (Tribunale di Firenze, sezione protezione internazionale);  

  1. Ad un cittadino senegalese poiché la legge che condanna l’omosessualità in quel paese può considerarsi persecutoria (Tribunale di Palermo, Ordinanza del 3 giugno 2019); 
  1. Ad un cittadino maliano poiché nel suo paese d’origine l’omosessualità è causa di isolamento, stigma sociale e forte discriminazione (Tribunale di Venezia, decreto del 3 febbraio 2020); 
  1. Ad un cittadin* peruvian* poiché in quel paese la comunità LGBTQ+ continua ad essere discriminata dallo Stato, che spesso assume il ruolo di vero e proprio persecutore (Tribunale di Roma, decreto del 01 luglio 2020); 
  1. Ad un cittadino del Ghana perché nel suo paese d’origine le persone LGBTQ+ sono apertamente oggetto di discriminazione e violenze da parte della società (Tribunale di Genova, decreto del 26 marzo 2021

PROTEZIONE SUSSIDIARIA 

  1. Ad un cittadino del Gambia poiché ancora nulla è stato fatto per abrogare le leggi che puniscono l’omosessualità. Come è noto, nel paese infatti “ogni rapporto carnale contro natura” è punibile con 14 anni di reclusione mentre il reato di “omosessualità aggravata” prevede la pena dell’ergastolo (Tribunale dell’Aquila, ordinanza del 7 maggio 2018); 
  1. Ad un cittadino pakistano poiché in Pakistan il reato di omosessualità è punibile con il carcere a vita (Tribunale di Lecce, decreto del 19 giugno 2019

Per una maggiore e più coerente trattazione delle casistiche – anche internazionali – in linea con il sistema, anche il SOGICA “Sexual Orientation and Gender Identity Claims of Asylum”, progetto dello European Research Council, sollecita le Commissioni Territoriali ed i giudici ad un maggiore utilizzo delle Linee Guida n° 9 dell’Unhcr dedicate alle “persecuzioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”. Queste, infatti, rappresentano uno strumento utile e fondamentale per un corretto esame delle domande d’asilo proposte dai migranti LGBTQ+

LM Pride chiude quindi il ciclo di eventi dedicato al Pride Month con un’intervista che ci auguriamo possa servire da stimolo e/o essere di supporto per tutti coloro che si battono per la tutela di questa particolare categoria di migranti.  

Ci uniamo poi, all’auspicio espresso da Armando Maria De Nicola, ossia che il dibattito in merito agli ulteriori strumenti che abbiamo a disposizione per garantire a queste persone il diritto di permanere legalmente nel nostro paese, sia continuo ed aperto.  

Cogliamo l’occasione di questo particolare anno – in cui le vittorie ottenute dalla comunità LGBTQ+ occidentale sono state numerose – per ricordarci che c’è ancora molto da fare ma che abbiamo tutti gli strumenti sulla carta per poter modellare un sistema d’accoglienza ancor più inclusivo e che tenga conto delle varie vulnerabilità di ciascun gruppo sociale. 

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