Il 13 gennaio 1998 il poeta siciliano Alfredo Ormando si diede fuoco a Piazza San Pietro, a Roma: un gesto dettato dal desiderio disperato di reagire contro la posizione fortemente discriminatoria e degradante adottata ufficialmente dalla Chiesa Cattolica Romana nei confronti delle persone omosessuali, e – più in generale – LGBTQ+.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica, cioè l’insieme della dottrina e degli insegnamenti cattolici, si occupa del tema dell’omosessualità al paragrafo 2357, utilizzando parole che non lasciano molti dubbi circa la visione predominante:

“L’omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un’attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che «gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati». Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati”.

Sebbene poco più sotto (paragrafo 2358), dopo aver ribadito l’“oggettivo” disordine dell’orientamento omosessuale, si sottolinei che “[le persone omosessuali] devono essere accolte con rispetto, compassione, delicatezza”e che“a loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione”, questo è evidentemente una contraddizione in termini, date le premesse fortemente stigmatizzanti del paragrafo sopracitato.

Scopo della giornata

A partire dal 13 gennaio 1999 Arcigay commemora ogni anno la morte di Ormando con un sit-indi fronte a Piazza San Pietro. Dal 2008 poi, il 13 gennaio è stata dichiarata Giornata Mondiale per il dialogo tra le religioni e l’omosessualità, al fine di favorire uno scambio costruttivo tra le comunità LGBTQ+ nel mondo e le istituzioni religiose, nonché per combattere la discriminazione su base religiosa contro identità di genere ed orientamenti sessuali diversi da quello eterosessuale.

Per questo motivo, il team di LMPride, la rubrica di Large Movements APS interamente dedicata ai migranti LGBTQ+, ha deciso di celebrare questa giornata. Durante il nostro lavoro quotidiano con questa particolare categoria di migranti, infatti, ci siamo resi conto che le discriminazioni che questi subiscono nei propri Paesi d’origine – ma anche in quelli di transito e di arrivo – sono spesso giustificate, ed in molti casi addirittura invocate, dalle autorità religiose.

È necessario ribadire, in linea con il senso di questa Giornata Mondiale, che la suddetta influenza delle autorità religiose sugli atteggiamenti omofobi della società – e quindi del legislatore – è presente in ogni angolo del mondo e non è quindi riconducibile ad una tanto presunta, quanto fallace e fuorviante, “arretratezza culturale” dei Paesi extra-europei.

A titolo di esempio, vale la pena citare la Polonia, dove il governo di estrema destra adotta spesso toni “catto-nazionalisti”. In questo Paese UE, dal 2019 nell’est e sud-est del Paese almeno un centinaio di territori si sono autoproclamati “aree libere dall’ideologia LGBTQ+”.

Ed ancora, negli USA, ad eccezione della fondamentale legge che garantisce a livello federale il matrimonio egualitario, il 2022 è stato un anno da dimenticare per l’avanzamento dei diritti LGBTQ+. A causa dell’azione di lobby portata avanti da una destra religiosa-conservatrice sempre più combattiva, infatti, in Florida è stato approvato il cosiddetto “Don’t Say Gay Bill” (ufficialmente “Parental Rights in Education Bill”), che vieta di parlare di orientamento sessuale o di identità di genere nelle scuole primarie.

Come LMPride celebra la giornata

Avendo già trattato della situazione generale delle diverse comunità LGBTQ+ nel mondo, vorremmo concentrarci in questa sede sul rapporto tra comunità LGBTQ+ e religione nei Paesi di origine dei migranti.

Dal momento che le informazioni sulle motivazioni della concessione dello status di rifugiato e sulla provenienza dei richiedenti non sono facilmente reperibili, non è possibile determinare con certezza quale tra questi Paesi sia quello da cui proviene la maggior parte dei migranti LGBTQ+. Conseguentemente, non è possibile stabilire lo specifico ruolo svolto dalla religione tra i push factors delle migrazioni con assoluta precisione.

Senza alcuna pretesa di esaustività, abbiamo deciso però di prendere ad esempio alcuni dei Paesi che l’Homophobic Climate Index 2017 indica tra i peggiori in termini di qualità di vita della comunità LGBTQ+. Comun denominatore tra tutti è l’influenza della religione (o meglio, una certa interpretazione della stessa) sulla società. In questi Paesi, infatti, la fede funge da strumento di controllo biopolitico (ossia di controllo sui temi della “politica della vita”, come riproduzione, sessualità, espressione dell’identità di genere, e più in generale uso del proprio corpo), tanto che gli stessi leader politici discutono di tematiche di genere e di sessualità principalmente in una cornice religiosa.

Il primo di questi è l’Afghanistan, dove il ritorno al potere dei Talebani nel 2021 ha ulteriormente esacerbato la già fragile condizione della comunità del Paese, da sempre caratterizzata da stigma, emarginazione sociale, discriminazione e violenza (stupri di gruppo, persecuzioni e violenza domestica). Il regime giustifica e perpetra tali trattamenti disumani sostenendo che l’omosessualità “sia contraria alla shari’a”, cioè l’impropriamente detta “legge islamica”. In realtà, la shari’a – letteralmente, “la giusta via” – è un insieme di principi morali generali deducibili dal Corano e dalla Sunna (la raccolta di detti attribuiti al Profeta Muhammad, la cui autenticità non è sempre garantita).

Partendo da questo insieme di principi vengono poi elaborate delle norme specifiche, influenzate anche dal contesto culturale, sociale e politico del Paese. Perciò, è maggiormente corretto dire che l’omosessualità è “contraria” all’interpretazione che della shari’a dà l’attuale governo afghano, e non all’Islàm in sé e per sé.

Simili osservazioni valgono anche per l’Iran, regime ufficialmente teocratico, nel quale l’omosessualità viene dichiarata appunto contraria ai principi stessi dell’Islàm e perciò punibile con la pena di morte. Dal 1979 ad oggi sarebbero state condannate a morte tra le 4000 e le 6000 persone LGBTQ+ in Iran con l’accusa, tra le altre, di promuovere la corruzione dei costumi.

Per di più, sebbene la chirurgia di riassegnazione del sesso in Iran sia consentita, essa viene adottata principalmente come soluzione a quello che è concepito come il “problema del disordine di genere”, molto spesso costringendo le persone transessuali a sottoporsi a questo intervento chirurgico contro la propria volontà. Queste operazioni sono talvolta praticate come “correttivo” anche su persone omosessuali.

A partire dal caso dell’Iran, si possono fare alcune osservazioni interessanti.

In primo luogo, la religione può venire usata come strumento di controllo del corpo da coloro che comunemente vengono definiti “fanatici religiosi”. In secondo luogo, interpretazioni particolarmente discriminatorie di un dato testo di fede sono spesso adottate da un’élite ristretta di persone, fortemente conservatrice, per la quale l’esistenza nella società di soggettività “rivoluzionarie” – come possono apparire quelle queer rispetto ad un contesto tradizionalmente etero-normato – non è ammissibile, perché rappresentano una minaccia alla stabilità del loro potere temporale.

Le stesse dinamiche sociopolitiche sono all’azione in Nigeria, una federazione di 36 Stati, la cui popolazione si divide principalmente tra cristiani, musulmani e fedeli delle religioni africane tradizionali. Nonostante tale ricchezza e diversità culturale, rispetto alla condizione delle persone LGBTQ+ tutti i principali leader sono d’accordo: la queerness non sarebbe “autenticamente” africana, bensì arrivata dall’Occidente tramite le colonizzazioni prima e la globalizzazione poi, e non sarebbe in linea con i dettami religiosi.

Proprio per questo motivo, tutti i leader religiosi nigeriani nel 2014 si sono detti pienamente soddisfatti dall’adozione di una legge che: (i) rende illegali le relazioni amorose tra persone dello stesso sesso, punendole con 14 anni di reclusione; (ii) priva le persone LGBTQ+ del diritto di associazione; (iii) invalida in Nigeria i matrimoni gay contratti all’estero.

La realtà denunciata dagli attivisti è che la comunità queer nigeriana viene spesso utilizzata come capro espiatorio per distogliere l’attenzione dalle difficoltà economiche e sociali che affliggono il Paese e che i leader politici nigeriani sono incapaci o restii ad affrontare. La colpa delle “disgrazie” del Paese viene piuttosto attribuita a fattori esterni, tra cui la presenza nella società di persone LGBTQ+. I corpi delle soggettività queer diventano quindi, “siti di contestazione”, dove si intersecano battaglie e rivendicazioni di ogni tipo, spesso a discapito proprio delle persone queer autoctone.

A conclusione di questa breve rassegna, vogliamo sottolineare che lo scopo dell’articolo non consiste in una sorta di “demonizzazione” del fenomeno religioso tout court, in quanto “generatore automatico” di omofobia. Abbiamo anzi cercato di dimostrare come persino delle religioni i cui principi fondanti sono l’amore, la giustizia sociale, l’equità e la pace, possano essere meschinamente abusate ed asservite ad interessi terreni.

Siamo fermamente convinti, e vogliamo ribadirlo proprio oggi che si celebra questa Giornata, che delle interpretazioni alternative dei testi sacri siano possibili, proprio mediante la riscoperta dell’amore che è principio fondante di tutte le religioni. Se gli stessi brani ai quali spesso si fa riferimento per giustificare degli atteggiamenti omofobi da parte dei fedeli – indipendentemente dalla religione che si prende in considerazione – venissero letti e contestualizzati in chiave storico-sociale, sarebbe possibile metterne in luce significati alquanto diversi, risultando in delle “condanne” molto meno nette dell’omosessualità.

Al giorno d’oggi esistono dei progetti e/o delle proposte teologiche che promuovono e diffondono un’interpretazione del messaggio religioso che sia più accogliente nei confronti della comunità LGBTQ+. A titolo di esempio, vale la pena citare il Progetto italiano “Gionata”, un’iniziativa di volontariato culturale volta – come riporta il sito – “a far conoscere il cammino che i cristiani LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) fanno ogni giorno nelle loro comunità e nelle varie Chiese, in modo che queste esperienze possano aiutare la società e le Chiese ad aprirsi alla comprensione e all’accoglienza delle persone omosessuali”.

Rispetto al cristianesimo, sono degni di menzione anche gli studi di Adriaan van Klinken, che racconta l’attivismo LGBTQ+ cristiano in Kenya e ne mette in luce tutte le potenzialità nella complessità del contesto africano.

In ambito islamico si assiste invece a dei consistenti movimenti dal basso diretti al “queer jihad”, cioè l’impegno da parte di musulman* queer a dimostrare la compatibilità tra Islàm e queerness.

In quanto LM Pride crediamo con convinzione che sia necessario continuare a percorrere questi cammini di dialogo, nonché iniziarne di nuovi, senza pregiudizi o preconcetti da nessuna delle parti in questione, ma restando sempre desiderosi di scoprire l’umano nell’Altro e di donargli il nostro amore, al di là di tutto. Questa può certamente essere la shari’a da percorrere per un mondo più giusto.

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Presidente Large Movements APS

Studio Storia all'Università Roma Tre. I miei principali interessi sono l'ecofemminismo, gli studi postcoloniali e le scienze storico-religiose. Credo nella forza del dialogo interculturale e cerco costantemente di impegnarmi per un mondo più giusto e che non lasci indietro nessun*.

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