Siamo alle battute finali per decidere le sorti del recentemente adottato e così denominato Decreto-legge Immigrazione.
Disciplina generale
Ai sensi dell’articolo 77 comma 3 della Costituzione infatti, i decreti-legge perdono efficacia se non vengono convertiti in legge dal Parlamento entro 60 giorni dalla loro adozione. Dal momento che il Decreto Immigrazione è stato adottato dal Governo lo scorso 28 ottobre, il termine ultimo per la sua conversione in legge è il 28 dicembre.
Qualora entro quella data il Parlamento non sia in grado di trovare un compromesso e di presentare quindi l’apposita legge di conversione, il Decreto Immigrazione perde efficacia e l’effetto di questa mancata conversione retroagisce sino alla data di adozione del decreto stesso.
Detto più semplicemente quindi, se il Parlamento non emanerà la legge che converte il Decreto Immigrazione, sarà come se questo non fosse mai esistito sul piano legislativo in quanto ne potrebbero venir cancellati in toto gli effetti.
La nostra carta costituzionale offre la possibilità di salvaguardare gli interessi che si sono prodotti nel periodo di vigenza del decreto-legge qualora questo non venga approvato in Parlamento, lasciando la facoltà alle Camere di regolare diversamente i rapporti giuridici sorti durante detto lasso temporale.
Normalmente, durante il periodo di vigenza del decreto-legge, le varie forze politiche propongono emendamenti al testo da discutere, ed eventualmente approvare, andando a modificare le disposizioni coinvolte in sede di redazione del nuovo testo di legge.
Questo periodo poi, è fondamentale per il dibattito politico sul tema oggetto del decreto stesso.
Dal momento che la ratio dietro l’adozione di questo particolare atto giuridico infatti, così come chiaramente statuito dalla Costituzione nel già citato art. 77, è che si sia verificata una situazione di necessità ed urgenza tale da costringere il Governo a dover agire senza “perdere nemmeno un secondo”, il processo democratico subisce una battuta di arresto – ciò avviene perché si pospone il confronto in Parlamento sul tema trattato dal decreto-legge.
Nonostante questo istituto sia stato concepito come puramente residuale ed emergenziale, la storia legislativa e politica italiana dal dopoguerra ad oggi, ha visto un abuso di questo strumento con la conseguenza che spesso si trovavano a coesistere discipline diverse per regolare le stesse fattispecie (visto che molto spesso questi decreti-legge poi non vengono convertiti).
Così è stato anche nel caso del Decreto Sicurezza voluto dall’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini, che il Decreto Immigrazione in commento punta a modificare.
Non si capisce allora, quale sia la situazione di necessità ed urgenza che ha giustificato l’adozione di questi testi.
Il requisito di “necessità ed urgenza”
Come abbiamo anticipato, il requisito di necessità ed urgenza è condizione essenziale affinché il legislatore possa far ricorso allo strumento del decreto-legge.
Nel caso del Decreto Salvini, il governo Conte I giustificò l’adozione del testo di riforma – peggiorativa – del sistema d’accoglienza sotto forma di decreto-legge, facendo riferimento all’urgenza che derivava dalla situazione degli sbarchi.
Secondo quanto dichiarato dall’ex Ministro dell’Interno infatti, questi sbarchi “incontrollati” avevano reso l’Italia vittima di una “vera e propria invasione” che doveva essere immediatamente contrastata. A rischio era, sempre secondo le convinzioni del Leader del Carroccio, la tenuta dell’intero sistema paese, che stava subendo attacchi diretti alle sue fondamenta.
Al di là della logica propagandistica e populistica ben chiara, tale situazione di emergenza non era affatto reale. Trattavasi infatti di un escamotage per poter far approvare in sede parlamentare una nuova linea politica, che altrimenti sarebbe stata soggetta ad attacchi da parte degli altri partiti, molto più velocemente e senza dover effettuare modifiche all’impostazione di sistema. La conversione in legge infatti, in casi come questi, dove l’opinione pubblica viene sapientemente “indottrinata” a colpi di fake news e propaganda sui social, è quasi scontata data la delicatezza del tema. I partiti di maggioranza e di opposizione vengono così posti di fronte alla logica, tanto cara ai populisti, del “ce lo chiede il popolo”, in questo modo bollando come “anti-democratico o contrario alla volontà popolare” qualsiasi voce che esprima dubbi o criticità nei confronti del testo presentato, aumentando esponenzialmente il rischio di perdere importanti parti del proprio elettorato.
D’altro canto, il ricorso allo strumento del decreto-legge per l’adozione del Decreto Immigrazione, sulla carta sembrerebbe essere più sensato. La giustificazione fornita dal governo Conte II infatti, è che il nuovo testo è stato adottato per poter migliorare il sistema d’accoglienza – a seguito dei rilievi di incostituzionalità dell’impianto voluto da Matteo Salvini sollevati, tra i vari, dal Presidente della Repubblica e dalla Corte Costituzionale – in maniera tale che siano più tutelati e garantiti i diritti dei migranti in un periodo particolarmente difficile come quello dell’attuale crisi sanitaria.
Peccato però che quanto sopra riportato si è rivelato essere una mera dichiarazione di intenti dal momento che il testo adottato il 28 ottobre non ha come obiettivo quello di salvaguardare i migranti, bensì è manifesto il tentativo di potenziare ancor di più il regime di esternalizzazione delle frontiere e di aumentare i rimpatri coatti.
Come abbiamo visto nel nostro precedente articolo sul tema infatti, ben poco è stato riformato del sistema d’accoglienza ampiamente modificato, in via peggiorativa, dal Decreto Salvini. Anche nel caso del Decreto Immigrazione dunque, il ricorso allo strumento del decreto-legge appare fuori luogo.
Con questo nuovo testo l’Italia dimostra di allinearsi ancor di più all’impianto generale delle politiche migratorie comunitarie, reso manifesto dal nuovo patto per l’immigrazione e l’asilo in discussione in Commissione Europea. Impostazione questa, che sembra ormai essere ben consolidata all’interno dei vari paesi membri e non solo, nonostante le dure critiche provenienti da varie organizzazioni internazionali ed istituzioni, oltre che dal mondo della società civile.
Audizione Ministro Lamorgese in difesa del Decreto Immigrazione
Il 17 novembre 2020 si è tenuta un’audizione informale del Ministro dell’Interno Lamorgese presso la Commissione Permanente Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio ed Interni.
Così come chiarito dalla Commissione stessa, queste audizioni informali “sono incontri organizzati tra le Commissioni ed altri soggetti estranei all’attività parlamentare mirati a fornire ai commissari utili elementi di conoscenza in un settore di competenza”.
In questa occasione, l’audizione del Ministro è stata chiesta dai commissari facenti parte di Lega e Fratelli d’Italia.
È proprio durante il corso di questa audizione che si è reso manifesto il vero ordine delle priorità nell’agenda di governo che, nonostante le promesse, non ha operato quella riforma radicale del tanto disastroso quanto grandemente lesivo dei diritti fondamentali dei migranti, – in aperta violazione con quanto statuito dall’art. 10 della Costituzione – impianto voluto da Matteo Salvini.
Prima di entrare nel merito del Decreto Immigrazione infatti, il Ministro Lamorgese analizza alcuni dati sugli sbarchi e sui rimpatri di cui, di seguito, si riportano quelli fondamentali:
- Da inizio gennaio sono sbarcate circa 32.000 persone, di cui 12.430 di origine tunisina (dati aggiornati al 15/11/2020);
- Trasformato in dato statistico, si può affermare che circa il 38,7% del totale dei migranti approdati sulle nostre coste sono tunisini;
- Il totale delle domande d’asilo presentate alle Commissioni Territoriali da inizio dell’anno è di circa 22.000;
- Sono state evase circa 36.000 domande da inizio dell’anno – comprensivo anche delle domande presentate gli anni precedenti;
- Sono stati effettuati 2.988 rimpatri, 1.564 dei quali verso la Tunisia (di cui 1.200 a seguito dell’accordo bilaterale recentemente adottato tra Italia e Tunisia in materia di rimpatri)
Nell’analizzare questi dati, il Ministro si sofferma ampiamente sull’importanza rappresentata dall’accordo per favorire i rimpatri con la Tunisia. In virtù di detto accordo infatti, si organizzano settimanalmente più voli straordinari per riportare il maggior numero possibile di migranti nel loro paese d’origine.
Riferisce Lamorgese che attualmente sono organizzati 2 voli settimanali da 40 migranti ciascuno. Secondo l’accordo invece, la Tunisia si farà carico – coprendone i costi, oltre che occupandosi dell’effettiva organizzazione – di circa 10 voli aggiuntivi a settimana. Per di più, il nostro paese finanzierà i controlli di polizia delle autorità tunisine alle frontiere e sulle coste così da aumentarne la presenza e ridurre il numero degli sbarchi.
Questo è un chiaro esempio di esternalizzazione delle frontiere. A seguito di questo accordo quindi, l’Italia prioritizza la securizzazione dei propri confini, delegando ad uno Stato terzo il compito di controllare gli arrivi di queste persone.
La giustificazione fornita dal Ministro in sede di discussione del Decreto Immigrazione appare poi non tener conto dei dati reali che lei stessa ha provveduto ad elencare.
Il Ministro continua a confermare che l’Italia reputa la Tunisia un porto sicuro. Lei stessa, in compagnia del Ministro degli Affari Esteri Luigi Di Maio d’altronde, si è recata a Tunisi lo scorso agosto per concordare le nuove misure di contrasto all’immigrazione, implicitamente statuendo quindi di non aver rilevato alcun motivo ostativo affinché il paese non dovesse essere inserito in detta lista.
Come si è già avuto modo di commentare in occasione dei rilievi al patto sull’immigrazione e l’asilo presentato dalla Commissione Europea, il criterio del “porto sicuro” non dovrebbe essere tenuto in considerazione dal momento che le norme internazionali che disciplinano il diritto di asilo affermano chiaramente che la sicurezza dello stesso deve essere valutata sulla base delle singole esperienze individuali dei migranti. L’Europa però, e l’Italia non ne costituisce eccezione, ha abbracciato questo criterio informale introdotto dal sistema nato da Dublino III e che ad oggi di fatto controlla puntualmente ogni decisione presa in merito al sistema di accoglienza.
L’asserire che la Tunisia sia un porto sicuro poi, è in contrasto anche con i dati che il Ministro ha riportato in sede di audizione.
Se quasi il 40% delle persone che sbarcano sulle nostre coste sono tunisini, non si capisce come si possa ritenere sicura la scelta di rimpatriarli verso quel paese.
La Lamorgese sostiene che questi migranti sarebbero meramente migranti economici che “seppur comprensibile da un punto di vista umano, non possono avere titolo a rimanere nel nostro paese”.
Quello dei migranti economici è un tema che merita una trattazione a parte però, in questa sede, è opportuno rilevare che quasi la totalità delle migrazioni europee – sia all’interno che all’esterno dell’Europa – sono migrazioni economiche ma non per questo, mai una volta, viene negato il diritto a permanere in un altro paese. Il diritto a migrare e quello al lavoro, solo per citarne alcuni, d’altronde, sono diritti fondamentali dell’essere umano.
Per di più, continua il Ministro, molte di queste persone una volta sbarcate non presentano domanda d’asilo direttamente sul territorio italiano pertanto, sempre secondo la posizione del Viminale, questa sarebbe la prova che non abbiano alcun tipo di problema concreto nel loro paese d’origine – eccettuata la mancanza di lavoro, aggravata dagli effetti della crisi sanitaria.
Ancora una volta, la politica si dimostra restia ad ammettere che il criterio del “paese di prima accoglienza” introdotto dal vecchio sistema Dublino è completamente contrario agli interessi di queste persone. Spesso infatti, i tunisini entrano in Italia per tentare di raggiungere la Francia o comunque il Nord Europa, per questo motivo non presentano domanda: altrimenti non potrebbero presentarla nel paese in cui realmente vorrebbero arrivare – molto spesso perché hanno parenti là o sanno di un’opportunità concreta per migliorare la loro vita.
Un altro passaggio dell’analisi del Decreto Immigrazione condotta dal Ministro in audizione informale che fa trasparire la priorità securitaria perseguita dal governo, è il grande accento dalla stessa posto sull’inasprimento del regime sanzionatorio nei confronti delle Ong. Se prima le sanzioni che venivano comminate alle navi che ignoravano il divieto di entrata nelle acque italiane erano sì più alte, si trattava comunque di sanzioni amministrative.
Adesso invece, assumendo come base l’art. 1102 del Codice della Navigazione, dette sanzioni diventano sanzioni penali. Questo vuol dire che il comandante di una nave che decide di contravvenire ad un divieto posto dalle autorità preposte per salvare le vite di coloro che ha accolto a bordo della propria imbarcazione, rischia direttamente di compiere un reato.
Si accosta quindi la figura di una persona che agisce a tutela della vita altrui a quella di un criminale comune a tutti gli effetti, dando così vita ad un paradosso etico prima che giuridico.
Un’ulteriore affermazione del Ministro in commento al Decreto Immigrazione che lascia alquanto perplessi riguarda l’inasprimento delle misure espulsive rispetto al precedente impianto voluto da Salvini, che sarebbe stato deciso per poter ridurre le violenze perpetrate dai migranti all’interno dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio. Tale inasprimento, continua il Ministro, sarebbe stato giustificato poiché nel testo verrebbero introdotte misure a bilanciamento volte ad aumentare le garanzie dei migranti detenuti.
Con riferimento alle violenze ad opera dei migranti nei confronti delle forze dell’ordine, i dati non supportano questa estrema necessità di protezione – rientrando infatti nella media di quello che accade nelle carceri italiane. Per di più qui ancora una volta si dimostra di non aver redatto il testo per tutelare i migranti i quali, una volta arrivati nei CPR, hanno paura di essere rimandati indietro. Dopo tutti gli sforzi fatti per migliorare le proprie condizioni di vita e dopo tutti gli orrori subiti durante il viaggio, a queste persone viene comunicato di dover rimanere pazientemente in attesa di essere riportati in quello che per molti di loro può essere definito “l’inferno in terra”. L’attenzione alla fragilità psicologica di queste persone passa nuovamente in secondo piano, come se fossero loro stessi responsabili della situazione nella quale si trovano a vivere.
Con riferimento a questo supposto bilanciamento poi, è opportuno riportare che lo stesso è stato oggetto di ampie critiche da parte di organizzazioni internazionali, alcune istituzioni governative ed enti del terzo settore ascoltati in audizione nei giorni precedenti dalla stessa Commissione.
Di seguito si riportano le critiche maggiori ma si rimanda ad un secondo momento la trattazione puntuale delle stesse:
- Secondo il Garante per i Diritti delle Persone e le Libertà Personali, le norme sulla detenzione amministrativa dei migranti sancite all’art. 3 del Decreto Immigrazione danno luogo ad una disparità di trattamento, a parità di condizioni con il trattamento riservato ai criminali non extraeuropei. Questo perché l’art. 3 non assolve alla funzione di norma di riordino della disciplina complessiva della detenzione amministrativa, che avrebbe dovuto realizzare proprio per evitare discriminazioni;
- Sempre il Garante rileva poi che non è stato istituito un registro pubblico ufficiale dei cosiddetti “luoghi idonei alla detenzione” né tantomeno vengono resi noti quali siano i criteri in base ai quali si giudicherà un luogo idoneo o meno. Questo impedisce di controllare che effettivamente le condizioni sancite per la detenzione dei migranti non siano lesive dei diritti degli stessi;
- Secondo l’ASGI – Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione poi, oltre l’illegittimità del trattenimento dei migranti in luoghi di cui non è nemmeno dato conoscere l’effettiva ubicazione, si sarebbe dovuta completamente abrogare la procedura accelerata alla frontiera poiché lesiva dei diritti di rappresentanza e di contraddittorio dei migranti e si sarebbe dovuto dichiarare incostituzionale il trattenimento dei richiedenti asilo all’interno dei CPR;
- Sempre l’ASGI sostiene che si sarebbero dovute ridurre molte delle ipotesi ostative al riconoscimento dello status di protezione internazionale che invece rimangono ancora in piedi, nonostante la condanna della comunità internazionale, anche dopo l’approvazione del Decreto Immigrazione.
Queste e molte altre ancora sono le interessanti critiche mosse al Decreto Immigrazione, nonostante le dichiarazioni del governo di proporre un testo di grande riforma del sistema di accoglienza così come voluto da Matteo Salvini.
Per approfondimenti sul tema, Large Movements consiglia oltre all’interessante proposta di modifica sottoposta alla Commissione dall’ASGI, anche quella della Caritas Italiana, quella dell’Unhcr e quella del Prefetto Sandra Sarti.
Il nostro team continuerà a seguire gli sviluppi dell’iter di conversione del decreto-legge nella speranza che gli emendamenti proposti da realtà come quelle sopra citate, vengano approvati, auspicando quindi un coraggioso ma giusto cambio di rotta e di approccio alla tematica migratoria.
Ci riserviamo pertanto, di commentare puntualmente la disciplina introdotta dal Decreto Immigrazione una volta che il testo verrà convertito in legge, limitandoci per il momento a rinviare a fonti ben più autorevoli – quali quelle sopra citate – per un preventivo esame delle norme.
Se ti è piaciuto l’articolo Condividici!
Presidente Large Movements APS