E’ di pochi giorni fa la notizia dell’ennesimo caso di caporalato e di sfruttamento di lavoratori migranti scoperto dalle Forze dell’Ordine in Calabria, nella Piana di Gioia Tauro per la precisione. Grazie al coraggio di un cittadino senegalese infatti, è stato possibile sgominare un giro ben organizzato che comprendeva imprenditori agricoli italiani conniventi e caporali extracomunitari. Per di più gli stessi indagati, obbligavano le donne migranti a prostituirsi.
La piaga dello sfruttamento dei lavoratori migranti e del loro approdo nel mondo della criminalità – quasi sempre perché disperatamente alla ricerca di condizioni di vita migliori – negli anni è andata sempre più peggiorando. Ciò è vero non solo per l’Italia, ma anche per tutti gli altri Paesi Europei che li accolgono (emblematico è il caso della Germania).
Questo fenomeno di sfruttamento su larga scala sta ponendo sempre più problemi di garanzie e tutele sia del migrante – e della sua famiglia – sia del contesto sociale in cui il migrante stesso lavora per non parlare dei lavoratori locali, che sempre più spesso si trovano a dover competere con la manodopera a costo quasi nullo offerta dal migrante.
Per ovviare a questa situazione quindi, l’ONU ha cercato di fornire delle linee guida sulle quali i Paesi firmatari possano basarsi per riformare il proprio diritto del lavoro nazionale, andando ad includere tutele e doveri specifici di una nuova classe di lavoratori: i lavoratori migranti, regolari e non.
A tal proposito l’Assemblea Generale dell’ONU ha approvato con una risoluzione del 18 Dicembre 1990, la Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Diritti dei Lavoratori Migranti e delle loro Famiglie. Per l’effettiva entrata in vigore della stessa però, si è dovuto aspettare fino al primo Luglio 2003, quando la soglia minima dei 20 Stati ratificanti venne finalmente raggiunta.
Interessante è vedere però quali siano i Paesi che attualmente hanno ratificato la Convenzione. Di seguito li troviamo rappresentati in una mappa nella quale il verde chiaro è utilizzato per evidenziare gli Stati membri originari; il verde scuro per gli Stati membri successivi; il giallo per gli Stati firmatari ma senza ratifica:
(mappa presa da Wikipedia)
Come si può ben vedere, nessuno dei Paesi Occidentali che tradizionalmente accolgono i migranti ha ratificato il documento – nemmeno Canada, Stati Uniti ed Australia.
Le ragioni di questa mancata ratifica sono principalmente politiche ed economiche ma, per capirle appieno, è necessario prima riassumere brevemente il contenuto della Convenzione.
Scopo e Contenuto
E’ fondamentale capire quale sia lo scopo principale che ha portato alla stesura di questo documento. Sin dai primi articoli dello stesso infatti, si mette in chiaro che si vuole offrire un’interpretazione dettagliata del principio secondo cui i diritti umani esistenti dovrebbero valere anche per i migranti che, conseguentemente, hanno diritto a fruire degli stessi diritti fondamentali di cui godono i cittadini del Paese ospitante.
Questo principio assume grande rilevanza poiché mira ad abbattere il pensiero secondo il quale i lavoratori migranti sono “cittadini di serie b” e che quindi come tali non sono tra i destinatari della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
Da qui il bisogno di emanare un nuovo documento nel quale si vada a tutelare questa categoria di soggetti altamente discriminati, adottando delle misure ad hoc – anche e soprattutto in materia di lavoro, dal momento che lo stesso è fondamentale affinché il migrante inizi una nuova vita e si integri nel nuovo contesto sociale nel quale si trova a vivere.
E’ importante sottolineare che questa Convenzione non fa sorgere alcun nuovo diritti esclusivo in capo al lavoratore migrante, bensì ribadisce l’applicazione dei principi del diritto del lavoro nazionale del Paese ospitante – e quindi della sua intera disciplina, compresa quella in materia di salario e di risoluzione del rapporto di lavoro – anche al migrante che si accoglie ed alla sua famiglia.
Un altro degli obiettivi principali del testo qui in commento è quello di sradicare la tratta dei lavoratori clandestini – che in Italia, come si è visto, si traduce in sfruttamento dei braccianti agricoli e della prostituzione ma può assumere forme sempre nuove e sempre più disumane.
Come descritto all’art. 68 primo comma della Convenzione infatti, il legislatore ha stilato una lista di azioni che sarebbe opportuno venissero messe in pratica da uno Stato così da combattere la piaga della clandestinità. Nello specifico, le misure suggerite sono:
- “Misure appropriate contro la diffusione di informazioni ingannatorie concernenti l’emigrazione e l’immigrazione;
- Misure volte a rintracciare ed eliminare i movimenti illegali o clandestini dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie ed a infliggere sanzioni efficaci a persone e a gruppi o entità che li organizzano, li assicurano o aiutano ad organizzarli e ad assicurarli;
- Misure volte a infliggere sanzioni efficaci a persone, gruppi o entità che sono ricorsi alla violenza, alla minaccia o all’intimidazione contro lavoratori migranti o membri della loro famiglia in situazione irregolare.”
La Convenzione prevede inoltre che lo Stato commini, laddove ve ne sia necessità, sanzioni adeguate ed efficaci al datore di lavoro che sfrutti la manodopera dei migranti.
Viene inoltre affermato che, seppur i migranti debbano godere degli stessi diritti e doveri dei lavoratori locali, bisogna avere un riguardo speciale per i “bisogni sociali, economici, culturali e altri dei lavoratori migranti e dei membri della loro famiglia oltre che delle conseguenze di tali migrazioni per le comunità concernenti” così da evitare discriminazioni di sorta.
Ovviamente anche la Convenzione fa un distinguo di disciplina tra lavoratori migranti regolari e non, prevedendo maggiori tutele per coloro che sono entrati nel territorio dello Stato legalmente.
All’interno del documento però vi è una clausola che permette comunque di limitare l’accesso al mercato del lavoro del migrante, qualora ciò vada a ledere uno specifico interesse nazionale. Questa disposizione è stata inclusa con riguardo a particolari cariche pubbliche, nel tentativo di rendere il testo più appetibile per gli Stati Occidentali – invano, come riporta la tabella sopra.
Per di più, la Convenzione prevede la creazione di un meccanismo di controllo che vada a monitorare l’effettiva applicazione dei principi contenuti nel documento e la qualità delle misure adottate dagli Stati ratificanti. Questo organo prende il nome di Comitato per i Lavoratori Migranti e si riunisce alla sede principale dell’ONU.
Critiche
Proprio la creazione di questo Comitato è uno dei punti più criticati della Convenzione da parte dei Paesi occidentali. In questo modo infatti, si aprirebbe al dibattito multilaterale la scelta di quali diritti attribuire ai lavoratori migranti, andando così a minacciare la sovranità dello Stato stesso.
Soprattutto nell’ultimo periodo, in cui nazionalismo e populismo spadroneggiano in Europa infatti, l’idea di attribuire una materia di tale rilevanza strategica sul piano nazionale ad un dibattito nel quale partecipano più organismi e più Stati, appare alquanto utopistica.
Un altro aspetto che, con grande probabilità, influisce sul rifiuto delle Nazioni Occidentali di siglare la Convenzione è che questa estenderebbe a tutti i migranti la fruizione degli stessi diritti, indipendentemente dalle loro competenze o valore sul mercato, andando a delineare degli standard universali per la loro tutela. Questo però si scontra con gli obiettivi economici delle politiche sull’immigrazione adottate dagli Stati Occidentali, i quali forniscono grandi tutele per i lavoratori altamente qualificati – così da assicurarsene la collaborazione – ma non attribuiscono alcuna garanzia per i lavori non specializzati poiché vi sarà sempre qualche migrante disposto ad accettare condizioni disumane pur di lavorare, senza che il Governo fornisca alcun tipo di incentivo.
Vi sono poi anche delle motivazioni politiche alla base della mancata ratifica di una Convenzione così importante da parte degli Stati maggiormente interessati, ossia:
- I migranti non hanno diritto di voto, per cui non possono fare alcun tipo di pressione sul Governo ospitante;
- La xenofobia sta dilagando sempre più all’interno dei confini nazionali per cui è poco probabile che gli elettori facciano pressione sul loro Governo affinché vengano concessi ai migranti i diritti che gli spettano secondo il diritto internazionale;
- Manca la reciprocità a livello internazionale in quanto i flussi migratori tendono ad essere unidirezionali (da Sud a Nord) per cui i Paesi d’origine dei migranti non hanno alcun bisogno o motivo di concedere gli stessi diritti ad eventuali migranti provenienti da Nord.
In ultimo, e più brutalmente, i principi sanciti nella Convenzione sono in netto contrasto con le logiche di mercato che analizzano i costi ed i benefici del fenomeno migratorio e che presuppongono la necessità di una chiara distinzione tra lavoratori nazionali e quelli migranti – la cui presenza quindi, è subordinata agli interessi di quelli locali.
Più astrattamente ed in definitiva, le grandi paure degli Stati Occidentali possono essere così riassunte:
- La Convenzione mira a stabilire standard e principi disciplinanti una delle materie meno regolamentate in assoluto;
- Prevedendo uno strumento di controllo internazionale, viene incoraggiata una prospettiva molto più globale ed equilibrata del fenomeno migratorio;
- Si elimina il distinguo tra lavoratori nazionali e migranti, così da decretare di fatto una convergenza degli interessi di entrambe le categorie.
Purtroppo, viste le correnti xenofobe e nazionaliste che negli ultimi decenni si sono andate via via affermando nei Paesi Occidentali, la ratifica della Convenzione da parte degli stessi è più lontana che mai.
E’ pur vero però, che la stessa sarebbe di grande aiuto nell’immediato futuro – dove ci troveremo a fare i conti con la necessità di assorbire all’interno del mondo del lavoro sempre più migranti, dal momento che i flussi non accennano a diminuire. Il rischio quindi è quello di veder aumentare esponenzialmente il divario sociale e la discriminazione di cui sono vittime i migranti da un lato, e quello di un aumento della concorrenza sleale a discapito dei lavoratori nazionali dall’altro.
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