In occasione della giornata mondiale del rifugiato quest’anno Large Movements ha deciso di raccogliere tre testimonianze che ci raccontano, ognuna da un versante diverso, la drammaticità del conflitto che sta colpendo l’Ucraina, e non solo, da ormai quasi 4 mesi.
Le interviste qui raccolte risalgono ad aprile 2022 e A., J. e K. sono tre giovani ucraini tra i 20 ed i 30 anni che vivono in Italia da molti anni. Per garantire la sicurezza delle persone che abbiamo intervistato, non compariranno i loro nomi né ulteriori informazioni che potrebbero agevolarne l’identificazione.
Lo sgomento dei primi giorni diventa quotidianità
Era la notte tra il 23 e il 24 febbraio quando la Russia ha lanciato l’offensiva militare in Ucraina.
La popolazione è stata svegliata dal suono delle sirene anti-raid. J. racconta “mia nonna, mia zia e mio cugino vivono tra un raid e l’altro, perché gli allarmi suonano continuamente e sono costretti ad andare nel rifugio. Tuttavia, non possono perché è presente una persona anziana e invalida. L’unica soluzione è quindi nascondersi nel corridoio”. Fin dalle prime ore dello scoppio del conflitto, continua J., l’unico sentimento era la paura. Si aggiunse poi la sensazione di impotenza che la distanza ha inevitabilmente creato per tutti gli ucraini che vivevano il conflitto solo da lontano.
Resistenza e resilienza della popolazione
Da quella fatidica notte, la guerra non si è mai interrotta, ma le evoluzioni sono state innumerevoli. A Chernivtsy, nella regione di Bukovyna, a sud-ovest del Paese al confine A. ci riferisce che la popolazione ha lentamente ripreso le proprie abitudini, nonostante le sirene continuino a suonare e gran parte degli edifici siano stati rasi al suolo.
In altre zone la questione è ben diversa: a Lugansk, dal 2014, in seguito alla guerra del Donbass capitale de facto dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Lugansk, la situazione è ancora tragica. A tal proposito, K rivela: “prima degli eventi del 24 febbraio era tutto tranquillo, i civili non si aspettavano una tale escalation, anche se ogni tanto qualche obiettivo militare veniva bombardato. Da quando è scoppiata la guerra gli uomini, come mio zio, sono stati chiamati a raccolta per l’esercito nazionale e costretti ad andare combattere per la Russia”.
Lo sbocco sul Mar Nero di cui gode la città di Odessa, era già stato teatro delle tensioni degli scontri del 2014 tra fazioni filo-ucraine e fazioni russofone, culminanti con l’incendio della Casa dei Sindacati, Odessa è di nuovo al centro dell’attuale crisi perché circondata da arsenali russi pronti a sbarcare ed il fratello di J, in quanto uomo e maggiorenne, non ha avuto modo di lasciare la città con i suoi famigliari perché chiamato a far parte dell’esercito.
Una maestosa macchina della solidarietà
Tutte e tre le testimonianze ci fanno comprendere che la solidarietà si è attivata immediatamente; ad esempio, nelle città ad ovest del Paese i rifugiati sono stati ospitati senza particolari restrizioni temporali data l’assenza di obbligo di registrazione presso le questure oppure necessità di permessi di soggiorno. “Mia zia ospita in casa delle amiche che ha conosciuto all’università” racconta A. “Viene dato loro un domicilio temporaneo, i bambini vanno a scuola e c’è chi trova un lavoro temporaneo; ci sono dei centri di bellezza, ad esempio, che hanno assunto chi aveva esperienza in questo campo”. Chi invece ha deciso di non riaprire le attività, come grandi ristoranti, ha adibito i locali a posti letto, piccole cucine, bagni. Sono sorti molti gruppi di volontari per organizzare la ricezione di pacchi con beni di prima necessità e vestiti che arrivano al confine con la Polonia o l’Ungheria o la Romania.
La solidarietà si è diffusa molto rapidamente anche tra i polacchi cresciuti in Italia. A tal proposito, A. ci ha raccontato la sua esperienza dall’Italia: “subito dopo lo scoppio della guerra ho iniziato a raccogliere beni di prima necessità da mandare in Ucraina. Inoltre, ho organizzato un sit-in di protesta per raccontare, insieme ad altri concittadini, quello che stava accadendo”. Molte persone si sono poi offerte come traduttori e mediatori culturali per facilitare l’arrivo dei polacchi sul territorio italiano.
La forza della propaganda
La guerra è ovunque sinonimo di distruzione, morte e separazione. Questa guerra può dirsi sui generis rispetto alle altre dal momento che viene combattuta non solo sul terreno ma anche sul fronte mediatico. La propaganda, infatti, la fa da padrone e contribuisce a determinare le sorti del conflitto poiché, soprattutto nei territori filorussi dell’Ucraina, determina un appoggio incondizionato al Cremlino e, conseguentemente, aumenta le divisioni all’interno del Paese rischiando a tratti di sfociare in una vera e propria guerra civile. E in questo senso K. ci ha raccontato come la partenza di parenti in Russia abbia creato forte tensioni e “da quando sono lì (i parenti di K.) sostengono che le notizie sul conflitto sono tutte false… forse sono stati costretti a cambiare parere. Con altri, invece, che sono russi abbiamo interrotto ogni rapporto perché dicevano che mentivamo sulla guerra e ci hanno persino augurato la morte”.
Large Movements continuerà a seguire da vicino le varie fasi del conflitto e ad approfondire gli argomenti qua introdotti, con particolare riferimento al ruolo della propaganda diffusa da entrambi i fronti. Abbiamo voluto cogliere l’occasione della giornata internazionale del rifugiato per tornare a dare voce a chi è in fuga da un conflitto che ha colto la comunità internazionale occidentale completamente alla sprovvista.
Ma, nel contempo, vogliamo sottolineare che purtroppo queste testimonianze sono, seppur con le opportune differenze, similari a tante altre raccolte durante altri conflitti la cui unica differenza con quello ucraino è non minacciare da vicino la stabilità dell’Unione Europea.
In occasione della giornata internazionale del rifugiato quindi, Large Movements chiede alla comunità internazionale di battersi non solo affinché il conflitto in Ucraina possa risolversi il più presto possibile ma anche affinché gli strumenti legali messi in campo per garantire la protezione dei rifugiati provenienti da quel Paese possano essere applicati a tutti coloro che versano in simili situazioni nel proprio Paese di origine, perché non passi il concetto che alcune persone sono più meritevoli di tutela rispetto alle altre.
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Una risposta
Buon lavoro