Il 1 novembre 2005 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha ufficialmente designato questa giornata in ricordo di tutte le vittime dell’olocausto. Una sessione speciale del 24 gennaio 2005 precedette la riunione plenaria a seguito della quale fu pubblicata la risoluzione. Il 27 gennaio 1945 le truppe dell’Armata Rossa dell’Unione Sovietica, guidate dal maresciallo Konev, liberarono il campo di concentramento di Auschwitz, durante l’offensiva Vistola-Oder in direzione della Germania.
In Italia tale ricorrenza era già stata istituita con la legge 20 luglio 2000 n. 211. Interessante il dibattito instauratosi circa le date da scegliere per la commemorazione: una prima proposta era stata quella del 16 ottobre, in onore dei cittadini italiani ebrei che erano stati deportati dall’Italia ad Aushwitz, in particolare dal ghetto di Roma. Con questa data si sarebbero volute sottolineare le responsabilità anche italiane dello sterminio. Una seconda proposta era stata il 5 maggio, anniversario della liberazione di Mauthausen, campo di concentramento dell’Alta Austria dove furono deportati oltre 40 000 russi, serbi, italiani ebrei. Si scelse infine il 27 gennaio in quanto data comune a tutta Europa, i cui paesi commemorano ogni anno con vari eventi ed installazioni artistiche.
Large Movements ha scelto di celebrare il Giorno della Memoria dando voce direttamente alla testimonianza di una dei cittadini italiani che hanno subìto sulla propria pelle gli orrori della Shoa e, dallo scorso 19 Gennaio 2018, senatrice a vita. Ci riferiamo a Liliana Segre, nata a Milano nel 1930 da una famiglia ebrea e sopravvissuta al campo di sterminio di Auschwitz.
La difficoltà e la paura di rivivere, innanzitutto con sé stessa, e poi con gli altri, le atrocità e l’odio vissuto durante quel periodo, non le hanno permesso di testimoniare pubblicamente prima dei 60 anni. Da quando però ha deciso di superare questo ostacolo, con immensa forza, condivide la sua storia con giovani, adulti ed anziani, in occasioni più informali, così come quelle più formali, come è stato il discorso di fronte al Parlamento Europeo. Tuttavia, raggiunta l’età di 90 anni, Liliana Segre non ha più le forze, come lei stessa ha dichiarato, di continuare a testimoniare il suo viaggio della morte. L’ultima testimonianza che ha deciso di fare pubblicamente è stata il 9 ottobre scorso a Rondine, in provincia di Arezzo, presso l’organizzazione internazionale Cittadella della Pace. L’incontro è stato pubblicato dal Corriere della Sera: “Liliana Segre- Ho scelto la vita, la mia ultima testimonianza pubblica sulla Shoa” a cura di Alessia Rastelli.
“Tu non puoi più andare a scuola”. Comincia con tali parole la storia di Liliana Segre, nel settembre 1938 quando la sua famiglia per la prima volta le fece capire che essere nata ebrea in quel periodo non le permetteva di svolgere una vita come il resto delle bambine della sua età. Fin dai primi giorni dell’occupazione nazista, la famiglia Segre decide di credere che in Italia, nel piccolo centro di Inverigo, nella Brianza, dove erano stati costretti a rifugiarsi, non sarebbe successo nulla. La situazione però precipita dopo l’8 settembre 1943, e infatti il papà di Liliana tenta la fuga con la figlia in Svizzera. Qui vengono respinti e rimandati in Italia dove verranno poi arrestati in 3 carceri differenti. È il 30 gennaio 1944 quando a Liliana rimarrà impresso per sempre nella memoria il numero 21: il binario dal quale parte con suo padre ed altri tantissimi ebrei, dalla Stazione Centrale di Milano, “stipati con estrema violenza su carri bestiame”. Dopo una settimana, il silenzio si interrompe in un’immensa distesa, altrettanto silenziosa dove vi era tutto fuorché l’impressione di essere arrivati a destinazione.
“Non era possibile credere di essere arrivati in un posto così. Per cosa? Perché?” Eppure, era quello il destino che spettava agli ebrei sotto il regime nazista. Spogliati dei lori vestiti e tutti gli oggetti che rimandavano ad una vita normale, venivano spogliati della loro stessa dignità. Infatti, da quel momento Liliana, il papà e il resto dei viaggiatori non erano altro che un numero e la prima cosa che impararono fu che senza le minime basi del tedesco si rischiava la morte.
Liliana racconta che, nella sfortuna, lei è stata fortunata, diventando operaia-schiava nella fabbrica di munizioni Union, insieme a 750 donne di tutte le nazionalità, superando l’esame fisico e psicologico ben tre volte. Suo papà invece morì dopo poco.
Le prime speranze arrivarono nel gennaio 1945 quando gli aerei russi iniziavano ad avvicinarsi, rompendo il fronte dell’Est.
Tra notti in cui era costretta a dormire con le dita nelle orecchie per le urla strazianti di chi entrava nelle camere a gas, giorni di incessante lavoro, condizioni di (non) vita che l’avevano portata ad essere egoista, perdendo ogni senso di quella persona che aveva sempre sperato di diventare, la fame che una volta le ha fatto mangiare i resti di un cavallo morto… Liliana Segre è sopravvissuta.
Ad oggi a preoccupare è l’odio online: nel 2015 l’antisemitismo costituiva lo 0,5% di tutti i Tweet, tale percentuale è salita al 25%. Per questi motivi Liliana Segre è costretta a vivere con scorta dopo le innumerevoli minacce ricevute attraverso il web, come testimonia nel video documentario i Fili dell’#Odio, in quanto donna ed ebrea e venendo così annichilita, denigrata e annullata per una seconda volta. Secondo la Segre l’antisemitismo e il razzismo sono insiti nei poveri di spirito e, per questi, arriverà il momento in cui sarà più facile girare le spalle e guardare solo nel proprio cortile. Questi, infatti, si domanderanno “perché mi interessa? perché mi riguarda? perché mi dovrebbe interessare?”. Affinché tutto ciò non riaccada occorre ripensare l’utilizzo dei social in modo che arricchiscano lo spirito e stimolino la solidarietà con il prossimo.
Liliana Segre ha deciso di scolpire la parola “indifferenza” all’ingresso del Memoriale della Shoa di Milano. Noi di Large Movements, oggi, vi abbiamo fatto conoscere parte della sua storia durante la detenzione ad Auschwitz proprio per spezzare questa catena d’indifferenza, convinti che la conoscenza e lo studio di una storia troppo spesso dimenticata, sia alla base del futuro di tutti noi. Se vogliamo costruire una società all’avanguardia, il primo passo è abbattere il muro dell’indifferenza, sostituendola con il riconoscimento e la gratitudine per tutti coloro che hanno lottato per la loro vita, ma soprattutto per una società senza odio.
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