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Le grida dei profughi trasformate in città. Il Campo profughi di Zaatari

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Ci troviamo in Giordania, a 10 km dalla città di Mafraq, a nord del paese, al confine con la Siria e a 70 km dalla capitale giordana Amman. Il campo profughi di Zaatari, dalla sua apertura nel 28 luglio 2012, è diventato il campo profughi più grande al mondo. È stato istituito dall’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’ONU (UNHCR) ed il responsabile del campo è l’armeno Hovig Etyemezian, figlio di rifugiati ed operatore dell’Agenzia delle Nazioni Unite dei Rifugiati.

 Il campo si estende per 13 km quadrati ed è diviso in 12 distretti, circondato da filo spinato e sorvegliato da polizia e militari. Data la sua posizione, è stato creato con l’obiettivo di ospitare i siriani in fuga dalle violenze della guerra civile siriana, scoppiata nel marzo 2011. La capacità iniziale era di 60.000 persone ma dati i numeri dei rifugiati che il campo aveva raggiunto, nel marzo 2013, è stato costruito un secondo campo a 20 km, nelle pianure di Majeeb Al Fahood

Al momento dell’apertura, il numero degli sfollati era 15.000, rappresentando il 10% del numero totale di tutti i siriani rifugiati in Giordania. Nel 2013 le abitazioni erano 25 mila, estendendosi per 5 chilometri quadrati. L’ultimo censimento del numero di abitanti del campo risale allo scorso 30 settembre secondo i dati UNHCR che ha dichiarato 80.007 rifugiati. Tuttavia, il conteggio esatto ed accurato si è interrotto nel marzo 2013 a causa dei massici arrivi e gli elevati spostamenti giornalieri delle persone. Una testimonianza di operatori UNICEF risalente al 2015, a contatto con l’esercito giordano all’ingresso del campo, parla di 2.000 ai 5.000 profughi in entrata al giorno.

Un report dell’UNHCR dello scorso gennaio mostra più nel dettaglio i numeri di Zaatari, i cui rifugiati al tempo erano 76.143. Il 20% di questi erano minori inferiori ai 5 anni. Tra questi, un dato sconcertante è la mancanza di alcuna cittadinanza per i piccoli nati all’interno del campo. Non sono né siriani, né giordani, non potendo essere registrati in nessun ufficio. 13.220 erano i rifugiati in possesso di un permesso di lavoro, tra cui il 20% donne. Per quanto riguarda le origini di queste persone, il 14% proveniva dalle zone rurali di Damasco, l’80% da città minori in Siria e i restanti da Homs (2%), Dar’a (2%) e Damasco città (2%).

Le organizzazioni internazionali che intervengono, periodicamente o nel quotidiano, sono 45 e cercano di rendere meno disumana la vita degli abitanti di Zaatari. Gli aspetti da dover gestire sono ancora di più, dalla gestione degli impianti idrici e sanitari, al rifornimento di beni di prima necessità al sostegno scolastico. Ad esempio, solo per quanto riguarda l’assistenza medica, vi sono 16 organizzazioni, internazionali e locali, tra cui Jordan Health Aid Society International, Mezzalune Rossa Giordana e Medici Senza Frontiere.

Un primo ostacolo è il modo in cui il campo di Zaatari è raggiungibile. Inizialmente i siriani, superato il confine, arrivavano al campo seguendo un percorso relativamente facile. Una volta però che i ribelli siriani hanno occupato anche le aree vicine al confine con la Giordania, gli spostamenti verso il campo avvengono per lo più di giorno, dati i maggiori controlli durante la notte. Per entrare ed uscire dal campo serve poi il permesso del Governo, documento non così facile da ottenere, costringendo nella maggior parte dei casi a rimanere durante tutto il soggiorno all’interno della struttura. Inoltre, gli accessi per le quasi 80.000 persone sono solo due.

Una città che risuona tra il silenzio del deserto.
Dalle immagini satellitari scattate, sorprende come il campo abbia preso le sembianze di una città: vi sono supermercati, fornai, scuole, palestre, ospedali, luoghi di culto, zone di docce e cortili dedicati al gioco per i più piccoli. I pochi momenti di svago sono forse quelli che si vedono fra i bambini nelle scuole, dove i piccoli allievi tengono minuziosamente a conservare puliti ed ordinati i materiali educativi – come si può apprendere da una testimonianza. Le scuole sono nove e sono tutte attive su doppio turno, di mattino le ragazze, di pomeriggio i ragazzi. Nonostante i progetti delle scuole, di cui UNICEF è l’organizzazione portavoce, molti bambini preferiscono aspettare il loro ritorno in Siria. Alcuni, in alternativa, giocano ai computer messi a disposizione dalle ONG o iniziano direttamente a lavorare.

Viene definita una città anche per il sorprendente numero di piccole economie che sono nate e si sono sviluppate. La resilienza del popolo di Zaatari ha fatto sì che, nel corso di questi anni, si siano create delle vere e proprie attività imprenditoriali. Si parla infatti di un vasto mercato con banchi di lamiera dove vengono venduti polli arrosto, gelati, lavatrici portatili, vestiti usati o anche bevande come il the caldo per il valore di 15 centesimi. Gli arrivi sempre più numerosi di rifugiati ha dato spazio a nuove iniziative come le bancarelle di falafel o negozi di barbieri. Le scuole gestite dall’Unicef rappresentano un altro mezzo di guadagno per i rifugiati che vi insegnano o fanno lavori occasionali di pulizia dei bagni.

Di inverno, tende non riscaldate e ambienti gelati; d’estate la temperatura può raggiungere i 42 gradi, rendendo le tende dei forni viventi. Secondo l’UNHCR, l’86 per cento di loro vive al di sotto della soglia di povertà giordana di 95 dollari pro capite al mese. La massima comodità per i rifugiati di Zaatari è rappresentata dalle roulette, le cui dimensioni più grandi possono arrivare a 200 metri quadrati, dotate di finestre e porte. Non si incontrano mai edifici di cemento dato che il governo ha vietato l’uso di tale materiale, così come la possibilità di piantare alberi o creare marciapiedi.

Viste le dimensioni del campo, gli spostamenti sono complicati e per raggiungere l’ospedale ci si può impiegare anche tutto il giorno. Fortunatamente da qualche anno è iniziato il mercato delle biciclette, semplificando la vita a molti, e al tempo stesso contribuendo alle economie locali di chi si è messo a disposizione per le riparazioni ed i rottami. “La necessità è la madre dell’invenzione” afferma un rifugiato durante un’intervista con la Bbc. Quest’uomo è invalido ed è stato costretto a costruirsi un veicolo motorizzato per circolare liberamente all’interno del campo.

La guerra cancella vite ma non ha alucn potere con l’amore. Infatti, tra le varie attività imprenditoriali di Zaatari, una giovane donna ha aperto un negozio di vestiti da cerimonia. I matrimoni vengono celebrati nei vari luoghi di culto come in una vera e propria città.

Una tecnica, alquanto criticabile è quella della registrazione dei rifugiati, implementata dal governo giordano, privati e la collaborazione delle 45 organizzazioni attive sul campo. Il sistema prevede lo scanner dell’iride della persona che viene poi salvato in un database in forma anonima, sottoforma di un codice. Questo sistema viene anche utilizzato come forma di pagamento, basato sulle blockchain e che ha preso il nome di building blocks, ideato dall’ex banchiere Houman Haddad. Le transazioni di soldi vengono autorizzate con gli occhi, in base ai dati salvati. Inoltre, è possibile inserire all’interno di ogni profilo blockchain le diverse necessità della persona e la collaborazione delle varie ONG sul campo, avendo quindi una circolazione alquanto estesa dei dati dei rifugiati.

Uno caso così eclatante nello scenario internazionale che i registi americani Zach Ingrasci e Chris Temple, dopo aver vissuto a Zaatari per un mese, nel 2015, hanno dato vita al documentario Salam Neighbor, che ha ricevuto il Media Award 2016 Honoring Voices of Courage & Conscience

In conclusione, l’unica possibilità che si prospetta attualmente per gli abitanti di Zaatari è una sola: tornare in Siria, escludendo naturalmente le vie illegali di fuga dal Paese ma i cui rischi sono forse più alti e mortali. Una tra le attività quotidiane è infatti recarsi presso gli uffici del governo giordano per ottenere permessi di 15 giorni per uscire dal campo. Tuttavia, si sta riscontrando un numero sempre maggiore di persone che preferiscono tornare alla guerra, quindi in Siria, piuttosto che vivere nelle condizioni in cui sono costretti a Zaatari o mettersi in viaggio per l’Europa. Ogni giorno, secondo l’UNHCR, circa 120 persone decidono di ritornare in Siria e 120.000 lo hanno fatto da quando il campo di Zaatari è stato creato.

Un elemento che fa riflettere molto è che, tra i vari attori che coordinano il campo di Zaatari, vi sono anche pubbliche istituzioni e ministeri siriani, oltre alle organizzazioni internazionali sopracitate, sovvenzionate da potenze mondiali come gli Stati Uniti ed il Giappone.

Le poche testimonianze trovate sul web, raccolte in questo articolo non hanno bisogno di essere commentate. Queste rendono drammaticamente reali le condizioni disumane di tutti coloro che, per periodi più o meno brevi, sono costretti a vivere a Zaatari. Ancora una volta, il prototipo del rifugiato che viene trasmesso all’Occidente, si rivela falso. I rifugiati di Zaatari sono persone che svolgevano una vita fatta di lavoro, studio, gioco, così come svago e attività culturali. Purtroppo, però, la realtà in cui vivevano li ha costretti a scappare e rifugiarsi in questo nuovo territorio, in attesa di poter tornare alla loro vita precedente e avere il diritto di vivere.

Large Movements fa appello alla comunità internazionale e a tutti coloro che contribuiscono quotidianamente alla sopravvivenza di questo campo che, seppure essenziale il supporto che danno, la creazione di corridoi umanitari legali e politiche migratorie mirate a far regolarizzare la situazione dei migliaia di abitanti di Zaatari, sarebbe forse la soluzione più adeguata ed umana.

https://gaz.wiki/wiki/it/Zaatari_refugee_camp

https://widerimage.reuters.com/story/life-in-jordans-zaatari-camp

https://data2.unhcr.org/en/situations/syria/location/53

https://reporting.unhcr.org/sites/default/files/UNHCR%20Jordan%20Zaatari%20Refugee%20Camp%20Fact%20Sheet%20-%20January%202020.pdf

https://www.youtube.com/watch?v=mUosdCQsMkM https://www.aljazeera.com/news/2015/10/24/syrians-at-zaatari-camp-we-cant-live-here-forever/

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