La Convenzione CEDAW, o convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, è un trattato internazionale sui diritti umani che si concentra sui diritti e i problemi mondiali delle donne. Questa è stata adottata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione A/RES/34/180 il 18 dicembre del 1979 ed è entrata in vigore il 3 settembre 1981.
Il ruolo della CEDAW
La convenzione riconosce i numerosi strumenti adottati per promuovere il principio dell’uguaglianza tra uomini e donne ma allo stesso tempo riconosce come quest’ultime continuino ad essere oggetto di gravi discriminazioni. Viene altresì ricordato che le pratiche discriminatorie ostacolano la partecipazione delle donne ad ogni aspetto della vita del proprio paese intralciando la crescita e il benessere della società. La CEDAW introduce per la prima volta all’interno di un trattato internazionale una definizione di discriminazione nei confronti della donna non limitata al piano formale e comprende qualsiasi trattamento o condizione che nei fatti impedisca alle donne di godere appieno dei propri diritti su base paritaria rispetto agli uomini. Viene così proposto di superare il mero riconoscimento del diritto delle donne a godere di un trattamento equivalente agli uomini e prevede un preciso obbligo di “fare” per gli stati. L’articolo 1 ci dice che:
“L’espressione “discriminazione nei confronti della donna” concerne ogni distinzione esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza, o come scopo, di compromettere o distruggere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio da parte delle donne, quale che sia il loro stato matrimoniale, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo, su base di parità tra l’uomo e la donna“.
I principi della convenzione
I tre principi della CEDAW sono l’eguaglianza sostanziale, la non discriminazione e le obbligazioni in capo allo stato.
Con Eguaglianza sostanziale si intende il superamento del concetto di eguaglianza formale tra donne e uomini. Nel pensiero politico si riconoscono diversi tipi di eguaglianza come l’eguaglianza di tutti gli esseri umani o l’eguale distribuzione della ricchezza, delle opportunità sociali e del potere politico. In altre parole, si riconosce l’eguaglianza politica, sociale, giuridica, naturale ed economica. L’eguaglianza sostanziale è un aspetto fondamentale dei diritti umani e si occupa dei risultati equi e di pari opportunità per le persone e i gruppi svantaggiati ed emarginati della società. Questa differisce dall’uguaglianza formale che mira a distribuire l’uguaglianza in modo equo e uniforme, trattando tutte le persone allo stesso modo. Di conseguenza l’uguaglianza formale non riconosce la differenza mentre l’uguaglianza sostanziale tiene conto del sesso, della razza o dell’etnia.
Con Non discriminazione si intende la parità di accesso e di opportunità per le donne alla vita politica e pubblica, nei settori dell’istruzione, della salute e dell’occupazione. Il principio di non discriminazione mira a garantire che i diritti umani siano esercitati senza discriminazioni basate sulla razza, il colore, il sesso, la lingua, la religione, l’opinione politica o l’orientamento sessuale. Tale principio è una parte fondamentale del principio di eguaglianza e garantisce che a nessuno siano negati i propri diritti. Il principio di non discriminazione è utilizzato per valutare criteri apparentemente neutri che possono produrre effetti che svantaggiano sistematicamente le persone in possesso di determinate caratteristiche. In questo ambito gli stati devono adottare misure programmatiche al fine della creazione di una società in cui le donne possano godere della piena eguaglianza e della effettiva realizzazione dei diritti umani come diritto al lavoro, diritti relativi alla salute, l’uguaglianza di fronte alla legge, nella famiglia e nel matrimonio.
In capo agli stati vi è l’obbligo di: 1) condannare ogni forma di discriminazione nei confronti della donna; 2) adottare misure appropriate contro ogni forma di tratta e sfruttamento; 3) eliminare ogni discriminazione praticata da persone, organizzazioni o enti di ogni tipo; 4) assicurare l’effettiva protezione delle donne dalla discriminazione; 5) adottare le cosiddette misure positive.
Per “azioni positive” si prevede in capo agli stati non solo l’obbligo di astenersi dall’adottare misure aventi caratteri discriminatori nei confronti delle donne ma anche di adottare misure a carattere legislativo, politico e amministrativo con lo scopo di ridurre le disuguaglianze. Tali azioni rappresentano una deroga al principio di parità formale prevedendo forme di “discriminazione al contrario” cioè maggiormente favorevoli nei confronti delle donne al fine di superare gli ostacoli che impediscono da un punto di vista sostanziale le disparità.
Applicazione della convenzione
Per quanto riguarda l’applicazione della CEDAW, l’articolo 17 della convenzione prevede l’istituzione di un comitato per l’eliminazione della discriminazione nei confronti della donna con il compito di esaminare i progressi realizzati nell’esecuzione degli obblighi derivanti dalla convenzione stessa assunti dagli Stati parte. Il comitato si compone da 23 esperte indipendenti e presenta all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, attraverso il consiglio economico e sociale, un rendiconto delle proprie attività attraverso dei rapporti annuali. Il comitato ha il compito di monitorare dell’applicazione della Convenzione attraverso l’esame dei rapporti periodici che gli stati parti sono tenuti a presentare ogni quattro anni e in cui descrivono i provvedimenti adottati per dare effetto alla convenzione. Il comitato esamina il rapporto periodico dello Stato e può rivolgere le proprie preoccupazioni attraverso le Osservazioni conclusive, ovvero raccomandazioni che pur non avendo carattere giuridicamente vincolante contengono importanti linee guida che lo stato è invitato ad attuare. Inoltre il comitato formula Raccomandazioni generali rivolte a tutti gli Stati che riguardano articoli o temi della convezione che dal 1989 hanno lo scopo di mantenere attuale e sempre aggiornata la CEDAW.
Uno degli aspetti problematici della convenzione è dovuto al pluralismo culturale che mette a rischio i vari aspetti della CEDAW e la sua inefficacia poichè quella che viene considerata “discriminazione” in un paese, può riflettere il modo di vivere di un altro paese. Occorre evidenziare, inoltre, che diversi stati, come ad esempio l’Arabia Saudita, hanno fatto in modo che la convenzione non sia applicabile quando entri in conflitto con la Sharia. Secondo i critici le leggi della Sharia trattano i sessi in modo diverso nel matrimonio, nella proprietà, nella politica e nell’educazione.
La CEDAW e la Femminilizzazione delle migrazioni
Negli ultimi anni si è registrato un numero crescente di donne migranti tanto da coniare l’espressione “Femminilizzazione delle migrazioni” e si tratta di un fenomeno transfrontaliero che richiede attenzione e cooperazione per ridurre al minimo i rischi e aumentare la protezione di persone vulnerabili. Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale delle Migrazioni, le donne migranti rappresentato più del 50% della popolazione migrante. Parallelamente si è registrato un aumento delle donne migranti nei settori lavorativi. In particolar modo le donne lavoratrice migranti sono particolarmente vulnerabili alla discriminazione e allo sfruttamento. In questo contesto la CEDAW si mostra come un ulteriore garanzia che si affianca ad altri strumenti giuridici come la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie (1990). La stessa CEDAW ha espresso la preoccupazione per una maggiore discriminazione nei confronti delle donne migranti lavoratrici ed è per questo che spesso presenta raccomandazioni più dettagliate e che abbracciano “temi trasversali” come la violenza domestica, lo sfruttamento, l’abuso e la salute delle donne. In questo senso la CEDAW si preoccupa direttamente della prevenzione della tratta e dello sfruttamento delle donne, della parità di trattamento delle donne a prescindere dallo status e la non discriminazione sul posto di lavoro. Questi temi sono stati poi successivamente approfonditi nelle raccomandazioni numero 19 del 1991 sulla tratta e la numero 26 del 2008 specifica sulle lavoratrici migranti. Gli stati membri aderenti alla CEDAW sono, quindi, incoraggiati a garantire che le politiche nazionali anti-tratta siano conformi alla stessa convezione e che adottino un approccio basato sui diritti per combattere la tratta di esseri umani. Il tema degli abusi, soprattutto degli abusi fisici, è di rilevanza assoluta nei campi profughi che accolgono le popolazioni sfollate nel Sud Globale. Qui soprattutto le donne, ma non sono le uniche, sono a rischio di abusi e stupri mettendole, inoltre, a rischio di ulteriori danni psicologici.
La CEDAW è uno strumento centrale che, entrando in sincronia con gli altri strumenti, cerca di garantire diritti che a loro volta garantiscono la libertà politica ed economica. Spesso tali libertà sono fondamentali per lo sviluppo sociale ed economico di un paese in quanto le Donne, come ha testimoniato la Grameen Bank di Yunus, si sono dimostrate più responsabili e fondamentali allo sviluppo delle future generazioni.
Se ti è piaciuto l’articolo condividici!
Vice-presidente Large Movements APS | Climate Change e Migration Specialist | Dottore in Relazioni Internazionali | Blogger in Geopolitica, Geoeconomia e tematiche Migratorie | Referente LM Environment