Il Parlamento Europeo approva la Direttiva sulla due diligence delle imprese, ripercorriamo gli eventi per costruire insieme un futuro di giustizia climatica

Il 1° giugno 2023 il Parlamento Europeo ha approvato la proposta di Direttiva in materia di due diligence delle imprese, tema che Large Movements APS segue da quando ha aderito alla Campagna Impresa 2030. Come affermato dalla stessa Campagna, la posizione assunta dal Parlamento include diversi importanti miglioramenti rispetto alle precedenti proposte della Commissione Europea e del Consiglio ma sono presenti alcune gravi lacune come l’onere della prova in capo esclusivamente alle vittime.

Come associazione crediamo che una serie di principi che obblighino le imprese a rispettare un dovere di diligenza (ossia, il dovere di rispettare i principi che vengono sanciti dalla legge circa modalità tecniche e pratiche di svolgimento), soprattutto in materia climatica, possano contribuire alla neutralità climatica ed a garantire istanze di giustizia climatica ed equità inter e intra generazionali. 

In un momento storico in cui le imprese italiane devastano direttamente od indirettamente (tramite finanziamenti agli attori direttamente responsabili) l’ambiente ed il clima, causando fenomeni di migrazioni climatiche ed ambientali, noi di Large Movements APS intendiamo ripercorrere gli eventi che hanno caratterizzato l’elaborazione del testo normativo affinché tutte e tutti siano informate e con la speranza che altre realtà si uniscano in questo percorso di rivendicazione per i diritti umani e ambientali.

Prima dell’arrivo in Commissione e la procedura legislativa ordinaria dell’Unione europea

L’impegno delle istituzioni europee nell’ambito della sostenibilità e nella lotta ai cambiamenti climatici ha visto un’importante svolta nel 2019, anno in cui il Parlamento Europeo ha dichiarato l’emergenza climatica e invitato la Commissione Europea ad agire. 

In risposta a ciò la Commissione ha presentato il Green Deal, un insieme di iniziative ed impegni politici volti a trasformare l’Unione Europea in una società attenta alle questioni ambientali e che nel 2050 non genererà emissioni climalteranti, ossia che contribuiscono a produrre un’alterazione a livello globale del clima. 

In generale, occorre dire che lo stesso Green Deal dichiara che la partecipazione di tutte le parti sociali è fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi prefissati

Quanto detto non va dimenticato proprio perché la sfida dei cambiamenti climatici rappresenta un importante banco di prova per la legittimità democratica dei nostri sistemi politici e chiama direttamente in causa la necessità di coinvolgere le organizzazioni della società civile, i difensori per i diritti umani e gli attivisti per il clima, oltre che delle cittadine e dei cittadini, nei processi decisionali in materia di sostenibilità ed ambiente.

La Direttiva sul dovere di diligenza si inserisce nel percorso del Green Deal e, il 30 luglio 2020, la Commissione Europea ha lanciato una consultazione pubblica sulla governance sostenibile delle imprese. Nel settembre dello stesso anno la Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen ha annunciato che si stava lavorando ad una proposta legislativa in materia. 

Di fatto, nel programma di lavoro della Commissione per il 2021 tale proposta era prevista nel secondo trimestre dell’anno ed è stata avviata una seconda consultazione pubblica conclusasi l’8 febbraio 2021 (per approfondire la consultazione pubblica sul “governo societario sostenibile” clicca qui). 

La proposta della Commissione ha però subito più rinvii a causa del mancato “via libera” del Comitato per il controllo normativo, che aveva dato valutazione negativa in merito alla valutazione d’impatto che accompagnava la proposta. 

Il suddetto Comitato è un organo indipendente, interno alla Commissione e competente in materia di controllo di qualità e valutazione nelle prime fasi del processo legislativo, avente l’obiettivo ultimo di far adottare le decisioni sulla base delle migliori informazioni disponibili e delle opinioni delle parti interessate.

Nel mentre, il 17 dicembre 2020, il Parlamento Europeo ha approvato una Risoluzione in cui chiedeva una condotta delle imprese più sostenibile, chiedendo di affrontare le carenze normative a livello nazionale ed europeo. Il Parlamento chiedeva che le prossime Proposte della Commissione in materia di governance delle imprese includessero una serie di obblighi per le stesse ed incentivi ad agire, piuttosto che limitarsi a promuovere una divulgazione volontaria di informazioni. 

Nella Risoluzione il Parlamento ricorda che l’Unione Europea si fonda sui valori enunciati dall’art. 2 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e che la propria politica ambientale si basa sul principio di precauzione, come stabilito dall’art. 191 par. 2 TFUE. Inoltre, il Parlamento ribadisce che la Convenzione di Aarhus stabilisce una serie di diritti ambientali per l’opinione pubblica e per le associazioni, tra cui il diritto di accedere alle informazioni ambientali, il diritto di partecipare al processo decisionale in materia ambientale e l’accesso alla giustizia.

Prima di ripercorrere le tappe toccate nel primo anno e mezzo di elaborazione della Direttiva, è utile soffermarsi brevemente sul processo normativo generale dell’Unione. 

La procedura legislativa ordinaria in seno all’Unione Europea, ossia la modalità con cui principalmente viene elaborata una “legge” europea, viene chiamata “codecisione”. La procedura ai sensi degli articoli 289 e 294 del TFUE è costituita dalle seguenti tappe principali:

  1. La Commissione Europea presenta una Proposta legislativa al Consiglio ed al Parlamento Europeo;
  2. Il Parlamento Europeo adotta od introduce emendamenti alla Proposta (in questa fase il Consiglio dell’Unione Europea può adottare un “orientamento generale”, ossia un documento che riporta la posizione del Consiglio e che può influenzare le discussioni in Parlamento);
  3. Il Consiglio dell’Unione Europea può decidere di accettare la posizione del Parlamento, facendo sì che l’atto venga adottato, oppure modificare la posizione del Parlamento, re-inviando il testo al Parlamento per la seconda lettura;
  4. In seconda lettura il Parlamento può approvare, respingere oppure proporre emendamenti, rinviando la proposta al Consiglio per la seconda lettura;
  5. Il Consiglio a questo punto può approvare gli emendamenti proposti oppure respingerli, facendo sì che venga convocato il Comitato di Conciliazione. Composto in numero uguale dai membri del Parlamento e dei rappresentati del Consiglio, questo organo si propone di raggiungere un accordo su un progetto comune, dando avvio ad una terza ed ultima fase di lettura che può portare all’approvazione od al respingimento del testo, decretando la fine del percorso legislativo.

Le istituzioni europee coinvolte nel processo decisionale (clicca qui per approfondire le differenze tra Parlamento, Commissione e “Consigli”) possono anche organizzare riunioni informali, note come “triloghi”, in cui possono raggiungere un accordo politico. Le riunioni non hanno alcuna regola fissa e vi partecipano i rappresentanti del Parlamento, del Consiglio e della Commissione. L’accordo che ne scaturisce tuttavia è informale e deve essere approvato secondo le regole previste dalla procedura legislativa sopra riportata.

La proposta della Commissione Europea e la posizione della società civile

Il 23 febbraio 2022 la Commissione Europea ha presentato la propria Proposta di Direttiva sul dovere di diligenza (Due Diligence), la quale contiene numerose implicazioni collegate agli obblighi per le imprese di affrontare gli impatti negativi sociali ed ambientali delle proprie attività. 

In generale, la Proposta mira a promuovere un comportamento sostenibile e responsabile delle imprese lungo tutte le loro catene globali del valore (ossia l’insieme di tutte le imprese, indipendentemente dalla loro collocazione geografica, coinvolte nella realizzazione di una determinata produzione).

Ai sensi della Proposta le imprese sarebbero tenute ad identificare e, ove necessario, a prevenire, porre fine o mitigare gli impatti negativi delle loro attività sui diritti umani – come il lavoro minorile e lo sfruttamento dei lavoratori – e sull’ambiente – come l’inquinamento, la perdita di biodiversità o la produzione di emissioni climalteranti. 

Per le imprese, queste nuove norme porteranno certezza giuridica e condizioni di parità, una maggiore fiducia da parte dei clienti e una maggiore attenzione all’innovazione. 

Per i consumatori e gli investitori forniranno maggiore trasparenza ed una maggiore tutela dei propri diritti, insieme a quelli dei lavoratori. 

La Proposta intende far avanzare il percorso della transizione verde e tutelare i diritti umani, non solo in Europa ma anche in altre parti del mondo. Inoltre, cerca di dare il proprio contributo nel garantire un ambiente più sano per le generazioni presenti e future.

Come anticipato, la Direttiva stabilisce degli obblighi di diligenza da parte delle imprese. Gli elementi fondamentali di questo dovere sono l’identificazione, la cessazione, la prevenzione, l’attenuazione e la rendicontazione degli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente nelle operazioni dell’impresa, delle sue filiali e delle sue catene del valore. Inoltre, alcune grandi imprese devono avere un piano per garantire che la loro strategia aziendale sia compatibile con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5 °C, in linea con quanto stabilito dall’Accordo di Parigi. 

La Proposta prevedeva un ambito di applicazione alle imprese con sede nel territorio dell’Unione europea con più di 500 dipendenti e più di 150 milioni di euro di fatturato annuo ed alle aziende con 250-500 dipendenti e più di 40 milioni di euro di fatturato, se operano in determinati settori sensibili come: 

a) tessile, abbigliamento o calzature (compresi i prodotti legati ai pellami); 

b) agricoltura, silvicoltura, pesca, produzione alimentare; 

c) nelle industrie estrattive come nel settore minerario e della produzione metallurgica. 

Saranno interessate anche quelle imprese che, sebbene non aventi sede legale in  Unione Europea, sono operanti nel mercato unico europeo. Anche in questo caso, la Direttiva si applicherà solo a quelle che superano le soglie sopra citate.

La mancata osservanza di un adeguato dovere di diligenza sulle catene di approvvigionamento può comportare per le imprese madri sanzioni e multe, esponendole anche a responsabilità civile qualora queste non riescano a prevenire, mitigare e/o porre fine al rapporto con il fornitore che non ha rispettato i doveri contenuti nella Direttiva. Ciò è significativo in quanto comporta che le azioni scorrette delle filiali non proteggeranno più le società madri dalla responsabilità civile in caso di contenzioso, fornendo così alle vittime la possibilità di intentare azioni legali nei tribunali dei singoli Stati Membri dell’Unione

Gli Stati Membri inoltre dovrebbero istituire un’autorità di vigilanza per monitorare le attività delle imprese regolamentate. Per determinare il Paese responsabile di vigilare nel caso di imprese con più di una sede o di un vero e proprio consorzio di imprese (raggruppamento di più società per poter realizzare un obiettivo superiore alla capacità di ciascuna di esse), si potrebbe far riferimento allo Stato in cui è presente una succursale legale o in cui il consorzio genera la maggior parte delle entrate. 

L’autorità di controllo può condurre indagini laddove ritenga che ci siano problemi o se “preoccupazioni sostanziali” sono state sollevate da individui o gruppi (come le organizzazioni della società civile). 

Se viene rilevata una violazione, all’impresa viene concesso il tempo di rimediare al danno, tuttavia la stessa può comunque essere soggetta a sanzioni (ciò avviene in base al fatturato). Inoltre, la Commissione prevede di istituire una rete di autorità di vigilanza per coordinare la sorveglianza, condividere le best practices ed assicurare coerenza.

Come Large Movements APS abbiamo aderito alla Campagna Impresa 2030 per chiedere alle istituzioni europee di rafforzare il testo e colmarne le mancanze al fine di adattarla alle evidenti ed urgenti esigenze di tutela delle persone e del Pianeta

Le organizzazioni impegnate nella Campagna Impresa 2030 già dalla Proposta hanno evidenziato che le grandi imprese identificate sono lo 0,2% delle imprese europee. Rimarrebbero fuori dall’applicazione della Direttiva così, le piccole e medie imprese che in Unione Europea rappresentano più del 99%

Il testo inoltre concede alle imprese la possibilità di trasferire l’obbligo di vigilanza, attraverso clausole di condotta nei contratti, rischiando di lasciare impunite le imprese più grandi e scaricando la responsabilità ai livelli più bassi della catena di fornitura, dove sovente si consumano gli abusi più gravi e “facilmente” registrabili. 

In merito alla due diligence climatica va invece segnalato che mancano dei requisiti climatici ben dettagliati

Le imprese di fatto non sono obbligate a tener conto dei propri impatti e delle emissioni indirette che avvengono lungo le catene globali e di approvvigionamento. 

Dal punto di vista dell’accesso alla giustizia, invece, non vengono tenute in conto le difficoltà e gli ostacoli che le vittime si trovano ad affrontare. Inoltre, non vengono richieste modifiche alle legislazioni nazionali con riferimento ai limiti di tempo per presentare un ricorso, azioni collettive e rappresentative istituite dalla società civile e dai sindacati, oltre che un’equa distribuzione dell’onere della prova.  

Da ultimo, nonostante i meccanismi di controllo e monitoraggio, le imprese non sono obbligate ad ottenere il consenso da parte delle popolazioni interessate per l’attuazione di progetti sui loro territori, progetti che potrebbero impattare sulle loro risorse.

Il lungo anno del Parlamento Europeo e le lacune sulla Direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese

Il 4 aprile 2022, dopo più di un mese dalla presentazione, la Plenaria del Parlamento Europeo ha deferito la discussione del testo alla propria Commissione giuridica (JURI). 

La commissione JURI ha nominato Lara Wolters (Socialisti e Democratici) come relatrice, mentre come relatori “ombra” sono stati nominati Axel Voss (Partito Popolare Europeo), Làzara Vàzquezc (Renew Europe), Heidi Hautala (Verdi), Jorge Buxadè Villalba (Conservatori e Riformisti) e Manon Aubry (Sinistra europea). 

 Il relatore e i relatori “ombra” in seno al Parlamento Europeo sono fondamentali attori politici all’interno del processo decisionale

Il Relatore è colui che viene incaricato di redigere un testo, come la modifica di una proposta legislativa, che verrà votato all’interno delle Commissioni ed infine nella sessione plenaria. La relazione, che viene discussa con altri deputati e modificata durante le audizioni degli esperti, rappresenta la posizione del Parlamento Europeo su una proposta legislativa. 

Analogamente, con lo scopo di seguire l’andamento di una relazione, i gruppi politici possono nominare dei relatori “ombra”. Svolgono un ruolo importante in quanto sono i responsabili del tema in questione all’interno del gruppo politico di appartenenza; pertanto, sono di vitale importanza nella ricerca di un compromesso sulla Relazione. 

Similmente a quanto accade nei Parlamenti nazionali, le deputate e i deputati del Parlamento Europeo si riuniscono in gruppi politici e sono organizzati non già per nazionalità bensì per affinità politiche. Attualmente vi sono 7 gruppi politici che possiamo dividere tra:

  • Conservatori (Partito Popolare Europeo – Democratici cristiani, Identità e Democrazia, Conservatori e Riformisti europei);
  • Liberali che si posizionano al centro tra i due schieramenti (Renew Europe);
  • Progressisti (Socialisti e democratici, Verdi, gruppo della Sinistra al Parlamento Europeo 0 “Sinistra europea”). 

Al di là delle possibili affinità e suddivisioni politiche, occorre evidenziare che ciascun gruppo politico provvede alla propria organizzazione interna ed elegge un presidente. La posizione adottata dal gruppo politico è definita mediante concertazione in seno al gruppo: nessun membro del gruppo politico può ricevere un’indicazione di voto obbligatoria.

Le Commissioni sono il cuore della politica europea e seguono un ragionamento simile a quello rinvenibile nella Plenaria ossia, quando ad una Commissione viene chiesto un parere, questa nomina un relatore di riferimento

Nel processo di consultazione ed elaborazione del testo in seno al Parlamento Europeo le Commissioni associate a JURI sono state: 

  1. Commissione per gli Affari Esteri (AFETrelatore Raphael Glucksmann dei Socialisti e democratici); 
  2. Commissione per il Commercio Internazionale (INTA – relatore Barry Andrews di Renew Europe);
  3. Commissione per i Problemi Economici e Monetari (ECONrelatore Renè Repasi dei Socialisti e democratici);
  4. Commissione per l’Ambiente, la Sanità Pubblica e la Sicurezza Alimentare (ENVIrelatore Tiemo Wolek dei Socialisti e democratici);
  5. Commissione per l’Occupazione e gli Affari Sociali (EMPL – relatrice Samira Rafaela di Renew Europe). 

Hanno espresso il proprio parere la Commissione per l’Industria, la Ricerca e l’Energia (ITRErelatrice Martina Dlabajovà di Renew Europe), la Commissione per il Mercato Interno e la Protezione dei Consumatori (IMCOrelatrice Deirdre Clune del Partito Popolare europeo) e la Commissione per lo Sviluppo (DEVErelatore Pierfrancesco Majorino dei Socialisti e democratici).

Prima ancora che giungessero i pareri delle Commissioni del Parlamento, il 14 luglio 2022 il Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE) ha adottato un parere obbligatorio con cui invitava i co-legislatori a tenere presente l’idea di condizioni di parità ed a prevedere la piena armonizzazione di almeno le disposizioni chiave, per evitare che emergano distorsioni e differenze tra le leggi di recepimento degli Stati Membri. 

Il CESE temeva che la proposta della Commissione potesse contenere concetti giuridici poco chiari e suscettibili di interpretazione e riteneva pertanto necessario definire meglio termini come “relazione commerciale consolidata”, “catena del valore a valle” e “misure appropriate”. Questi termini infatti, definiscono, influenzano e determinano non solo l’ambito di applicazione della Direttiva, ma anche i relativi obblighi di diligenza, le sanzioni e le responsabilità. 

Le prime Commissioni che hanno adottato un parere a gennaio 2023 sono state ITRE (25 gennaio), INTA (26 gennaio), AFET (31 gennaio). Già nella commissione ITRE si può segnalare che ci sono stati dei tentativi di arretramento rispetto alla Proposta della Commissione

Tra le principali proposte di emendamento si intendeva limitare la due diligence delle imprese ai rapporti commerciali nei Paesi extra UE, preferendo parlare di catena di approvvigionamento piuttosto che di catena di valore. Si intendeva inoltre eliminare il concetto di “relazioni consolidate” ed aumentare la soglia di applicazione alle imprese in UE con più di 5.000 dipendenti e a quelle con più di 1.000 dipendenti che operano sul territorio dell’Unione. 

Nella proposta di ITRE, dalla quale INTA non diverge di molto, si può vedere l’intenzione di vincolare maggiormente il rapporto di un’impresa con una sussidiaria meramente all’esistenza di un accordo commerciale destinato alla produzione diretta di un bene o un servizio. 

Analogamente si preferisce parlare di “catena di approvvigionamento” per definire lo stretto rapporto diretto con la produzione del prodotto o del servizio. Al fine di ottenere un’identificazione e prioritizzazione dei potenziali impatti si predilige un approccio basato sul rischio. 

Diversamente la Commissione AFET richiede di rafforzare la proposta di Direttiva chiedendo di garantire l’accesso alla giustizia ed il risarcimento per le vittime, di diminuire la soglia minima dei dipendenti (da 500 a 250) e di fatturato annuale (da 150 a 20 milioni) per le imprese UE, nonché di aumentare gli ambiti di applicazione, tra cui progetti di edilizia e ingegneria civile.

Nel mese di febbraio hanno adottato il parere la Commissione DEVE (1° febbraio) e la Commissione ENVI (9 febbraio)

Il Parere della Commissione DEVE cerca di percorre il sentiero di miglioramento della Direttiva, proponendosi di garantire che le imprese rispettino i diritti umani, i diritti dei lavoratori, la rule of law, e tutelare l’ambiente. In tal senso si consolida la Proposta di utilizzare un approccio basato sul rischio per affrontare i potenziali impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente. Oltre a ciò, si chiede di garantire l’accesso alla giustizia, includendo rimedi giudiziari e non giudiziari per le vittime. 

Anche la Commissione DEVE propone di:

  1. diminuire la soglia dei dipendenti a 250 per le imprese con più di 40 milioni di fatturato, mentre per le imprese che operano in settori a rischio la soglia è di 50 dipendenti ed un fatturato maggiore di 8 milioni di euro;
  2. ampliare i settori definiti a rischio, come ad esempio il tessile, il vestiario, la logistica, le infrastrutture, l’energetico, i trasporti e il settore agroalimentare;
  3. migliorare la definizione di “coinvolgimento significativo” dei portatori d’interesse, affermando che deve essere implementato lungo tutto il processo di due diligence e che deve essere garantito un adeguato follow-up dell’attuazione degli impegni concordati. 

Anche la Commissione ENVI, che detiene il maggior numero di parlamentari e con una competenza diretta in materia, ha prodotto un parere con elementi progressisti sul tema della due diligence

A titolo esemplificativo, la Proposta di ENVI cerca di far rientrare tra gli impatti negativi sull’ambiente la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici, la prevenzione dall’inquinamento, l’economia circolare e la tutela della biodiversità. 

La Commissione ENVI, inoltre, formula l’articolo 9a sul coinvolgimento dei portatori di interesse in cui si obbliga lo Stato parte a:

  1. sviluppare, pubblicare ed attuare una strategia di coinvolgimento che identifichi ed elenchi i portatori d’interesse; 
  2. determinare misure di coinvolgimento più appropriate ed efficaci, tenendo conto della situazione di marginalità e vulnerabilità. 

In questa direzione si prevede anche l’obbligo di approntare adeguati meccanismi di reclamo per i portatori di interesse in merito alla consultazione pubblica. Anche in merito alla due diligence climatica la commissione ENVI formula delle proposte migliorative cercando di far dialogare gli obblighi di due diligence con la normativa europea sul clima (regolamento 2021/119) e gli obiettivi di neutralità climatica

Le imprese, secondo l’emendamento proposto, devono predisporre un piano che possa identificare i rischi di impatto delle attività delle imprese attraverso la spiegazione delle leve di decarbonizzazione e l’esposizione delle imprese alle attività legate al combustibile fossile. La proposta, inoltre, include l’obbligo di indicare obiettivi temporali basati su dati scientifici. 

Nel mese di marzo invece sono stati approvati i pareri di IMCO (3 marzo), ECON (6 marzo), EMPL (9 marz0). 

Le posizioni approvate da IMCO ed ECON risultano essere in linea con la posizione di ITRE e INTA. Gli emendamenti mantengono la valutazione basata sul rischio, eliminano il riferimento alle relazioni consolidate e non prevedono garanzie per l’accesso alla giustizia delle vittime. 

Gli emendamenti di compromesso di EMPL invece, mirano a diminuire le soglie per l’applicazione della Direttiva e ad ampliare l’indicazione dei settori ritenuti ad alto rischio (tra questi viene fatto rientrare anche tutto il comportato energetico legato a fonti non rinnovabili). La definizione di portatori di interesse offerta da EMPL invece compie un maggiore riferimento ai lavoratori ed ai sindacati.

Da ultimo, il 25 aprile è stato approvato il Parere di JURI

Gli emendamenti approvati da JURI tengono conto di tutte le opinioni espresse dalle altre Commissioni e si possono riassumere come segue:

  1. eliminazione del riferimento alle relazioni consolidate;
  2. portare la soglia di applicazione a 250 dipendenti e 40 milioni di fatturato per le imprese UE;
  3. mantenimento ed ampliamento della definizione di catena di valore;
  4. inserimento di una definizione  di portatori di interesse in condizione di vulnerabilità (ad esempio identifica le persone in condizione di vulnerabilità in un dato contesto a causa del sesso, la razza, l’etnia, la classe o per il fatto di essere popoli indigeni o migranti). 

Il testo di JURI sembra però mantenere, sulla linea di quanto proposto da ENVI, una definizione dettagliata del processo di consultazione che deve essere portato avanti dalle imprese ed in merito alla due diligence climatica. 

Come però segnalato dal responsabile Policy dell’ECCJ (European Coalition for Corporate Justice), il progetto di legge rimuove solo alcuni degli ostacoli all’accesso alla giustizia ed elimina la responsabilità automatica della società madre, mantenendo una porta aperta per i danni aziendali. 

A ciò si aggiunge che le vittime continuano a sostenere l’onere della prova per dimostrare le lacune nella due diligence delle imprese, quando dovrebbe essere l’esatto contrario data la sproporzione nel rapporto di potere tra le due parti.

Sulla base del testo di compromesso elaborato dalla Commissione JURI, il 1 giugno 2023 il Parlamento Europeo si è riunito in Plenaria per votare e discutere gli emendamenti alla Proposta della Commissione. 

In vista della Plenaria tenutasi tra il 31 maggio e il 1° di giugno, un gruppo di parlamentari appartenenti al Partito Popolare Europeo ha deciso di co-firmare gli emendamenti proposti dalla deputata tedesca Angelika Niebler, stravolgendo il testo approvato in Commissione Affari Legali (JURI) con l’intenzione di far saltare un compromesso nato anche grazie al supporto di molteplici realtà. Contemporaneamente alla proposta della deputata Niebler è infatti arrivato il sostegno del testo di JURI da parte  delle principali reti ecclesiali (Caritas europa, COMECE, CIDSE, DBI – Don Bosco International, ELSiA, JESC, Justitia et Pax Europa, Laudato Sì Movement e Pax Christi), di numerosi grandi gruppi industriali che operano in Europa (tra questi rientra il gruppo IKEA che però è ancora restio a firmare l’accordo internazionale sulla sicurezza e la prevenzione degli incendi nel tessile), i principali marchi del tessile europeo ed alcune associazioni imprenditoriali. In ogni caso, la posizione votata dal Parlamento UE (366 voti a favore, 225 contrari e 38 astenuti) si allinea più strettamente con gli standard internazionali in materia di business e diritti umani, chiarendo come le aziende possono affrontare i danni anche in relazione alla presenza di  eventuali vittime direttamente od indirettamente collegabili alle proprie attività. 

Inoltre, la Direttiva riduce gli ostacoli all’accesso alla giustizia per le vittime, estendendo la prescrizione sui casi di abuso aziendale ed offrendo assistenza finanziaria e legale alle vittime. 

Tuttavia, il Parlamento non è riuscito ad invertire l’onere della prova che, ad oggi, rimane in capo esclusivamente alle vittime. Allo stato attuale, ciò significa che queste dovranno provare, oltre il danno subito, anche la mancata od inadeguata applicazione della due diligence da parte delle imprese. Proprio l’onere della prova in capo alle vittime è stato un significativo ostacolo per l’accesso alla giustizia in molte importanti cause legali.

Quali prospettive?

La Commissione ha presentato la Proposta al Consiglio “Competitività” ed al momento si sono tenute riunioni degli organi preparatori del Consiglio in attesa della fine del procedimento in Parlamento. 

In funzione dell’ordine del giorno, il Consiglio “Competitività” riunisce i Ministri competenti in materia di commercio, economia, industria, ricerca ed innovazione e spazio di tutti gli Stati Membri. Partecipano alle sessioni anche i pertinenti Commissari Europei.

Il testo del 1° giugno rappresenta un’importante tappa nel percorso per l’entrata in vigore della Direttiva e ci auguriamo che il passaggio in Consiglio non  comporti dei passi indietro. Come ricordato dalla Campagna Impresa 2030, questa norma dovrebbe aggiungere spina dorsale agli obiettivi del Green Deal dell’Unione Europea, ma il Parlamento ha scelto di ignorare le tutele ambientali raccomandate dalla Commissione Ambiente.

Come Large Movements APS non possiamo fare a meno di ricordare che una due diligence delle imprese è quantomai necessaria con riferimento all’implementazione del REPower EU

Si tratta di una nuova strategia europea che risponderà a necessità geopolitiche, come quella di garantire l’indipendenza dall’energia prodotta dalla Federazione russa. Per affrontare la crisi energetica la strategia prevede misure a breve termine (come i nuovi partenariati energetici, la rapida realizzazione di energie rinnovabili e l’incremento dell’obiettivo di risparmio energetico entro il 2030) e misure da implementare entro il 2027 (come il nuovo capitolo REPower nell’ambito del PNRR e l’incremento dell’obiettivo europeo per le energie rinnovabili entro il 2030 dal 24% al 40%). 

Questa strategia però prevede ancora una grossa dipendenza dai combustibili fossili, dando la possibilità di aumentare l’approvvigionamento energetico da Paesi come la Nigeria, l’Egitto, l’Azerbaigian ed Israele.  Ciò rischia di non garantire istanze di giustizia climatica e la tutela dei diritti umani, andando in contraddizione con lo stesso Green Deal. 

L’implementazione di una corretta normativa sulla due diligence potrebbe agire su diversi fronti, tra cui:

  1. mitigare i rischi di violazioni di diritti umani e devastazioni ambientali;
  2. garantire che le imprese coinvolte adottino dei piani di transizione climatica;
  3. far sì che ci sia una maggiore disponibilità di dati e informazioni utili a denunciare gli abusi. 

Ciò è ancor più importante se pensiamo alle imprese partecipate da soggetti pubblici, ossia delle quali un soggetto pubblico come il Ministero dell’Economia e delle Finanze detiene partecipazioni azionarie, come ENEL, ENI, Poste Italiane e Leonardo. 

La Direttiva inoltre, se correttamente elaborata, avrebbe la potenzialità di stabilire simili obblighi di due diligence alle imprese finanziarie come Intesa Sanpaolo ed UniCredit che, come denunciato da ReCommon, già tra il 2020 e il 2021 hanno aumentato sensibilmente il proprio sostegno all’industria del combustibile fossile

In conclusione, non si può però trascurare che la votazione in Parlamento Europeo avviene ad un anno dalle prossime elezioni dello stesso, potendo quindi influenzare il futuro della Direttiva e chiamando ad una maggiore cautela i rappresentanti politici delle forze più conservatrici. 

In vista del 9 giugno 2024 le famiglie politiche europee stanno già avviando i processi che porteranno alla stesura dei programmi elettorali comuni. 

Come raccontato da Italian Climate Network, nella conferenza-evento sul futuro del concetto di sviluppo “Beyond Growth” sembrerebbero poter essere arrivate delle inattese convergenze

Al netto di evidenti differenze di interpretazione tra singole forze politiche e tra politica ed accademia, sembra che il tema dell’insostenibilità del nostro modello di sviluppo entrerà prepotentemente, almeno a livello di cornice intellettuale trasversale, nei programmi elettorali a livello europeo.

Noi di Large Movements APS crediamo però che l’apporto, la rivendicazione, l’esperienza e le idee delle organizzazioni della società civile siano quanto mai fondamentali per intraprendere un percorso verso la giustizia climatica

Come associazione continueremo a presidiare il tema in aperto ascolto di altre parti sociali. Se anche tu hai o fai parte di un’associazione che si occupa di ambiente scrivici via mail a redazione@largemovements.it 

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