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Caso N.D. e N.T. c. Spagna: la controversa decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sui respingimenti dei migranti alla Frontiera di Melilla

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Con sentenza definitiva della Grande Camera, resa in data 13 febbraio 2020 sul caso N.D. e N.T. c. Spagna (ricorsi nn. 8675/15 e 8697/15) la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte EDU) ha assolto la Spagna  dalla presunta violazione del diritto ad un ricorso effettivo, e del divieto di espulsioni collettive di stranieri sanciti rispettivamente dall’art. 13 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) e dall’art. 4 del protocollo addizionale n. 4. La sentenza della Grande Camera ha ribaltato la decisione della Terza Sezione della Camera della Corte EDU del 3 ottobre 2017 la quale aveva ritenuto che vi fosse stata una violazione dell’art. 4 del Prot. n. 4 e dell’art. 13 della CEDU. 

Il caso N.D. e N.T. c. Spagna 

Il caso N.D. e N.T. c. Spagna ha avuto origine il 12 febbraio 2015 da due ricorsi, uno da un cittadino del Mali, N.D., e uno da un cittadino della Costa d’Avorio, N.T. I ricorrenti lamentavano la violazione degli articoli 3 e 13 della CEDU, considerati singolarmente e in combinato disposto, dell’articolo 4 del Protocollo n. 4.  

N.D. ha lasciato il suo villaggio in Mali a causa del conflitto armato del 2012 e, dopo aver trascorso alcuni mesi nei campi profughi in Mauritania ed in Algeria, è arrivato in Marocco nel marzo del 2013. Lì, ha vissuto nel campo informale sul Monte Gurugu vicino al confine con Melilla.  

N.T., proveniente dalla Costa d’Avorio, dopo aver viaggiato attraverso il Mali, è invece arrivato in Marocco alla fine del 2012 dove ha soggiornato nel medesimo campo di N.D. I ricorrenti hanno dichiarato che il campo del Monte Gurugu è stato diverse volte oggetto delle incursioni delle forze di sicurezza marocchine. 

Il 13 agosto 2014 i trafficanti di migranti organizzarono due tentativi di attraversamento del confine di Melilla, l’enclave spagnola di 12 km² situata sulla costa nord dell’Africa e circondata dal territorio marocchino. Questa rappresenta una delle mete finali della rotta migratoria del Mediterraneo Occidentale.  

A Melilla le autorità spagnole hanno eretto una barriera lungo i 13 km di confine e dal 2014 questa comprende tre recinzioni parallele che hanno lo scopo di impedire gli accessi irregolari al territorio spagnolo. Le operazioni di controllo sono eseguite dalla Guardia Civil che, secondo il proprio “Protocollo delle operazioni di controllo delle frontiere” del 26 febbraio 2014 e l’ordine di servizio no. 6/2014 dell’11 aprile 2014, ha lo scopo di pattugliare i confini ed arrestare chi  tenta di oltrepassare le recinzioni per consegnarlo alle autorità marocchine, salvo abbiano bisogno di cure mediche.  

Il 13 agosto i ricorrenti parteciparono ad un tentativo di attraversamento che coinvolse 600 persone: lasciarono il campo del Monte Gurugu e tentarono di scalare la recinzione esterna.  

Seppur la polizia marocchina abbia impedito a circa 500 migranti di scalare la recinzione esterna, circa 75 migranti sono riusciti a raggiungere la cima della recinzione interna, ma solo alcuni sono riusciti a scendere ed a toccare il suolo spagnolo, dove sono stati intercettati dalla Guardia Civil. Gli altri sono rimasti seduti in cima alla recinzione interna ed i funzionari della Guardia Civil li hanno scortati di nuovo in territorio marocchino. 

Entrambi i ricorrenti sono rimasti seduti in cima alla recinzione interna e sono scesi dalla recinzione grazie all’aiuto delle forze dell’ordine spagnole per poi essere arrestati e riportati in Marocco per essere consegnati alle autorità marocchine.  

I ricorrenti hanno sostenuto di non essere stati sottoposti ad alcuna procedura di identificazione e di non aver avuto la possibilità di spiegare la loro situazione personale o di essere assistiti da avvocati o interpreti. I ricorrenti sarebbero stati successivamente portati, insieme ad altri migranti che erano stati respinti in circostanze simili, a Fez, dove sono stati abbandonati a loro stessi.  

A seguito di ulteriori tentativi, i due ricorrenti sono riusciti a scavalcare le recinzioni e ad entrare a Melilla. Di conseguenza sono stati avviati contro di loro dei procedimenti, al termine dei quali sono stati emessi degli ordini di espulsione. 

Nel gennaio del 2016 fu emesso un ordine di espulsione nei confronti di N.D. che, mentre veniva trasferito nel centro di detenzione temporanea per stranieri (CETI), ha presentato un ricorso amministrativo. Con questo ancora pendente, il 17 marzo 2015 ha presentato altresì una domanda di protezione internazionale che venne respinta 5 giorni dopo in quanto ritenuta infondata dato che il richiedente non era considerato essere a rischio sulla base di un parere emesso il 20 marzo 2015 dall’ufficio dell’UNHCR.  

La richiesta di riesame presentata dal ricorrente venne nuovamente respinta con una decisione dell’Ufficio Asilo e Rifugiati del Ministero dell’Interno il 26 marzo 2015 sulla base di un ulteriore parere negativo dell’UNHCR. Pertanto, la sospensione del procedimento amministrativo di espulsione venne revocata e il 31 marzo 2015 N.D. venne rimpatriato in Mali.  

Analogamente nel novembre del 2014 venne emesso un ordine di espulsione nei confronti di N.T., che venne confermato nel febbraio del 2015 a seguito del rigetto del suo ricorso amministrativo. N.T. non ha chiesto la protezione internazionale e l’ordine di espulsione è diventato definitivo l’11 luglio 2015. Alla scadenza del termine massimo di 60 giorni di detenzione per immigrazione nel CETI è stato rilasciato e da allora, secondo le dichiarazioni dei suoi avvocati, sembra che egli soggiorni irregolarmente in Spagna. 

Con una decisione del 3 ottobre 2017, la Camera della Terza Sezione della Corte EDU ha ritenuto che vi fosse stata una violazione dell’articolo 4 del Protocollo n. 4 e dell’articolo 13 della Convenzione, letti in combinato disposto. In occasione del proprio esame, la Terza Sezione ha dichiarato irricevibile il ricorso ai sensi dell’art. 3 della Convezione (Proibizione della tortura). 

Il 14 dicembre 2017 il Governo Spagnolo ha chiesto il rinvio del caso alla Grande Camera. La Corte ha osservato che il caso è stato deferito alla Grande Camera in conformità con l’art. 43 della Convenzione che prevede che un ricorso possa essere deferito se solleva “gravi problemi di interpretazione o di applicazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, o comunque un’importante questione di carattere generale“. La Corte ha rilevato che, come avvenne in occasione del Caso Hirsi Jamaa e altri c. Italia, il caso in esame implicava la definizione di questioni di notevole importanza per quanto riguarda l’interpretazione della portata e dei requisiti dell’articolo 4 del protocollo n. 4. Per questo motivo la Corte ha ritenuto che le circostanze le imponevano di proseguire l’esame del ricorso. 

La posizione delle Parti nel caso N.D. e N.T. 

I ricorrenti lamentavano che il loro respingimento immediato in Marocco costituisse un’espulsione collettiva in quanto non erano stati sottoposti ad una valutazione individuale della loro condizione ed in quanto non vi era stata alcuna procedura od assistenza legale. Secondo i ricorrenti, ciò rifletteva una politica sistematica di respingimento dei migranti e lamentavano non la violazione del diritto ad entrare nel territorio dello Stato ma del diritto ad essere sottoposti ad una procedura individuale per la valutazione della propria condizione e, in caso, per poter contestare l’espulsione verso il Marocco.  

I ricorrenti altresì lamentavano che non esisteva alcun meccanismo che consentisse loro di accedere legalmente al territorio spagnolo per richiedere asilo in quanto il valico della frontiera di Beni Enzar non era accessibile ai migranti provenienti dall’Africa subsahariana a causa delle limitazioni poste dalle autorità marocchine. Fino al 2013 queste non riconoscevano infatti alcun meccanismo di protezione internazionale e nel biennio 2013-2014, quando l’Ufficio marocchino per i rifugiati e gli apolidi era tornato operativo, le attività erano limitate a regolarizzare lo status dei rifugiati che nel frattempo erano stati riconosciuti dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR).  

A ciò si aggiunge che nessuno dei Paesi incontrati lungo la rotta migratoria avesse un efficace sistema di protezione dei rifugiati. Secondo i ricorrenti le uniche opzioni a loro disposizione per entrare in Spagna erano scalare le recinzioni od attraversare illegalmente la frontiera con l’aiuto di trafficanti di esseri umani.  

In base all’art. 4 prot. 4, i ricorrenti hanno osservato che nessuna  distinzione poteva essere fatta tra rifugiati e non rifugiati o tra migranti regolari e irregolari per quanto riguarda la protezione garantita dalla disposizione.  

A tal proposito, i ricorrenti ritenevano che la giurisdizione della Spagna non fosse in discussione in quanto le recinzioni erano situate sul territorio spagnolo e poiché le misure di allontanamento degli stranieri costituiscono un esercizio di giurisdizione nazionale.  

I ricorrenti hanno inoltre sostenuto che, poiché non vi era stata alcuna procedura individuale di valutazione, informazione od identificazione, essi erano stati privati di qualsiasi ricorso interno in relazione alla loro espulsione. A loro avviso, ciò equivaleva a una violazione dell’articolo 13 della Convenzione in combinato disposto con l’articolo 4 del protocollo n. 4. 

Lo Stato convenuto (la Spagna) contestava la posizione dei ricorrenti affermando che il campo di applicazione dell’art. 4 prot. 4, seppur ampliato dalla giurisprudenza della Corte EDU, non era applicabile a questo caso.  

Il governo spagnolo riteneva che la disposizione era applicabile solamente agli stranieri che arrivavano nel territorio di uno Stato in “modo pacifico” facendo riferimento all’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, il quale sancisce il diritto intrinseco degli Stati all’autodifesa individuale o collettiva in caso di attacco armato. Secondo la Spagna inoltre, la disposizione richiedeva l’esistenza di una situazione di pericolo per i richiedenti, nel proprio paese d’origine o perché arrivavano via mare,  e l’impossibilità da parte loro di chiedere asilo o ingresso legale perché non si trovavano ancora sul territorio di suddetto Stato.  

Sulla scorta di questa interpretazione, secondo lo Stato convenuto, i ricorrenti avevano tentato di entrare illegalmente in Spagna attraversando una frontiera terrestre e non avevano fornito alcuna prova di rientrare in una delle categorie internazionalmente riconosciute per la concessione dell’asilo. Inoltre, i ricorrenti non avrebbero affrontato alcun rischio riconosciuto dal diritto internazionale o pericoli in Marocco, come aveva confermato la Terza Sezione della Corte EDU nel 2017 nella sua decisione, nella quale dichiarava irricevibile il ricorso ai sensi dell’art. 3 della Convezione (Proibizione della tortura). 

Secondo il Governo spagnolo il diritto di entrare nel territorio spagnolo rivendicato dai ricorrenti inteso come il diritto di entrare in qualsiasi punto della frontiera senza subire alcun controllo, era contrario al sistema della Convenzione e costituiva una minaccia al godimento dei diritti umani sia da parte dei cittadini degli Stati membri che dei migranti, costituendo al contempo una fonte di notevoli profitti per le organizzazioni criminali dedite al traffico di esseri umani.  

Il Governo inoltre, sosteneva che una decisione della Corte che legittimasse tale condotta illegale avrebbe creato un “effetto di richiamo” e avrebbe provocato una crisi migratoria con conseguenze devastanti per il sistema di tutela dei diritti umani. 

Lo Stato convenuto ha altresì sostenuto che i fatti del caso in esame non equivalevano ad una “espulsione collettiva di stranieri” in quanto per rientrare nel campo di applicazione dell’art. 4 prot. 4 la misura di espulsione doveva riguardare persone che si trovavano nel territorio dello Stato.  

Secondo il Governo spagnolo si trattava di una misura di prevenzione dell’ingresso illegale nel territorio spagnolo e che le recinzioni, sebbene erette in territorio spagnolo, costituivano una “frontiera operativa” destinata a prevenire l’ingresso non autorizzato.  

Secondo il Governo pertanto, la giurisdizione spagnola si instaurerebbe solamente nel momento in cui i migranti attraversano il sistema delle tre recinzioni e superano la linea di polizia. Il Governo ha sostenuto che i ricorrenti, dopo aver scalato la recinzione, non erano scesi dalla stessa, ma erano stati fermati dagli agenti della Guardia Civil e riaccompagnati in Marocco. Pertanto, non avendo superato la linea di polizia, essi non erano entrati nella piena giurisdizione della Spagna

Il Governo ha infine sostenuto che i ricorrenti avevano comunque perso lo status di vittima in quanto, alcuni mesi dopo, erano riusciti ad entrare illegalmente nel territorio spagnolo ed erano stati oggetto di ordini di espulsione emessi a seguito di un procedimento che, secondo il Governo, rispettava tutte le garanzie necessarie. Inoltre, secondo la Spagna, i ricorrenti avrebbero potuto tentare di ottenere dei visti d’ingresso nei rispettivi Paesi d’origine ai sensi dell’articolo 27(1) della legge organica n.4/2000 relativa ai diritti e alle libertà degli stranieri in Spagna e della loro integrazione sociale (LOEX). Secondo lo Stato convenuto i ricorrenti avrebbero anche potuto presentare domanda di asilo in Marocco o in qualsiasi consolato spagnolo nei paesi che avevano attraversato nel loro viaggio . 

Sulla questione della giurisdizione 

Articolo 1 – Obbligo di rispettare i diritti dell’uomo 

Le Alte Parti contraenti riconoscono a ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà enunciati nel Titolo primo della presente Convenzione. 

Ai sensi dell’art. 1, l’impegno degli Stati contraenti consiste nel riconoscere alle persone rientranti nelle loro giurisdizione i diritti e le libertà enunciati nella Convenzione.  

Nel caso in esame, la Terza Sezione della Corte EDU nel 2017 non ha ritenuto necessario determinare se le recinzioni scalate dai ricorrenti fossero situate in territorio spagnolo o marocchino. Essa ha ritenuto che dal momento in cui i ricorrenti sono scesi dalle recinzioni, essi sono stati soggetti al potere di controllo continuo ed esclusivo, almeno de facto, delle autorità spagnole. Di conseguenza i fatti denunciati rientravano nella giurisdizione della Spagna ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione. 

La Grande Camera della Corte EDU ha osservato che lo Stato convenuto non ha contestato che i fatti in questione si siano svolti in territorio spagnolo, bensì ha invocato un’eccezione al principio della giurisdizione territoriale tale da escludere da questa non solo qualsiasi porzione di territorio esistente tra la frontiera marocchino-spagnola e la recinzione esterna del sistema di protezione della frontiera di Melilla, ma anche il punto di discesa dalla recinzione “interna”, nonché la zona tra tale recinzione e la linea di polizia, fino al punto in cui quest’ultima viene oltrepassata. A tal proposito la Corte ha osservato che la sua giurisprudenza non ammette le esclusioni territoriali e che non ha potuto discernere alcuna “situazione di fatto vincolante” o “fatti oggettivi” in grado di limitare l’effettivo esercizio dell’autorità dello Stato spagnolo e, di conseguenza, di confutare la “presunzione di competenza” nei confronti dei ricorrenti.  

Non potendosi, inoltre, giustificare uno spazio di “non diritto” in cui gli individui non sono coperti da alcun sistema giuridico, la Corte ha respinto l’obiezione del Governo relativa alla mancanza di giurisdizione. La Corte ha altresì specificato che oggetto del ricorso erano i fatti relativi al 13 agosto 2014. 

Sulla questione della violazione dell’art. 4, prot. 4 della CEDU 

Articolo 4, Protocollo 4 – Divieto di espulsioni collettive di stranieri  

Le espulsioni collettive di stranieri sono vietate.  

La Terza Sezione della Corte EDU non ha ritenuto necessario determinare se i ricorrenti fossero stati allontanati dopo essere entrati nel territorio spagnolo. Se le intercettazioni in alto mare rientravano nell’ambito dell’art. 4 prot. 4 come affermato nel Caso Hirsi Jamaa e altri c. Italia, secondo la Corte lo stesso doveva valere per il rifiuto di ingresso nel territorio nazionale nei confronti delle persone che arrivano in Spagna illegalmente.  

Pertanto la Terza Sezione della Corte nel 2017 ha concluso che, poiché le misure di allontanamento erano state adottate in assenza di qualsiasi procedura e senza alcuna valutazione della situazione individuale dei ricorrenti o senza alcuna decisione amministrativa o giudiziaria preliminare, la loro espulsione era stata effettivamente collettiva, comportando pertanto una violazione della disposizione. 

La Grande Camera, al fine di determinare l’applicabilità della disposizione al caso in esame, ha tentato di stabilire se le autorità spagnole avessero realmente sottoposto i ricorrenti ad una “espulsione”. Secondo la Corte, il caso è la prima occasione per affrontare la questione dell’applicabilità dell’art. 4 prot. 4 all’ipotesi di respingimento immediato e forzato di stranieri da una frontiera terrestre in seguito al tentativo di attraversamento da parte di un elevato numero di migranti in modo non autorizzato. Nel caso in esame la Corte ha altresì verificato se la nozione di “espulsione” comprenda anche la non ammissione di stranieri alla frontiera di uno Stato o – per quanto riguarda gli Stati appartenenti all’area Schengen – ad una frontiera esterna di tale area, a seconda dei casi. 

La Corte nota che, sebbene il Governo spagnolo abbia fatto riferimento al diritto degli Stati all’autodifesa, lo Stato convenuto non ha sottoposto la questione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite come previsto dall’art. 51 della Carta ONU.  

A ciò si aggiunge che, seppur gli Stati detengono il diritto di controllare l’ingresso, il soggiorno e l’allontanamento degli stranieri nonché di stabilire le proprie politiche di immigrazione anche nel contesto della cooperazione bilaterale, tutto ciò non può giustificare il ricorso a pratiche non compatibili con la Convenzione e con i suoi protocolli. 

La Corte EDU ha ritenuto che il divieto di respingimento comprendesse la protezione dei richiedenti asilo sia in caso di non ammissione che di respingimento alla frontiera.   

Di conseguenza, equiparando in sostanza la “non ammissione” al “respingimento”, il solo fatto che uno Stato rifiuti di ammettere sul suo territorio uno straniero sottoposto alla sua giurisdizione non libera tale Stato dai suoi obblighi verso la persona coinvolta derivanti dal divieto di refoulement dei rifugiati.  Inoltre ciò si applica in generale “all’espulsione di tutti gli stranieri presenti sul territorio dello Stato di espulsione, senza distinzione tra le varie categorie “. 

Secondo la Corte, non vi sono dubbi sul fatto che i ricorrenti fossero sottoposti alla giurisdizione della Spagna e che sono stati allontanati dal territorio spagnolo per essere riportati con la forza in Marocco, contro la volontà dei ricorrenti ed in manette. Pertanto l’art. 4 prot. 4 è applicabile al caso in esame. Tale disposizione impone alle autorità statali di assicurarsi che ciascuno degli stranieri coinvolti abbia una reale ed effettiva possibilità di presentare argomenti contro la sua espulsione.  

In questa occasione la Corte EDU ha però rilevato che il comportamento del ricorrente stesso è un fattore rilevante. Secondo la giurisprudenza della Corte, non vi è violazione dell’articolo 4 Prot. n. 4 se la mancanza di una decisione individuale di espulsione può essere attribuita al comportamento del richiedente stesso.  

Secondo la Corte, questo principio trova applicazione nelle situazioni in cui il comportamento delle persone che attraversano una frontiera terrestre in modo non autorizzato, approfittando deliberatamente del loro gran numero ed usando la forza, è tale da creare una situazione chiaramente dirompente, difficile da controllare e che mette in pericolo la sicurezza pubblica. In questo contesto la Corte ha quindi analizzato se nelle circostanze del caso specifico lo Stato convenuto avesse fornito un accesso reale ed effettivo agli strumenti di ingresso legale.  

Nel caso in esame, la Corte ha confermato che vi è stata l’assenza di un esame ragionevole e obiettivo del caso particolare di ogni singolo straniero del gruppo che ha tentato l’attraversamento e ha specificato che gli Stati devono rendere disponibile un accesso reale ed effettivo alle misure di ingresso legale, in particolare a quelle procedure di frontiera rivolte a coloro che giungono al suo limitare.  

Questi mezzi dovrebbero permettere a tutte le persone che corrono il rischio di essere perseguitate di presentare una domanda di protezione, basata in particolare sull’articolo 3 della Convenzione, secondo modalità che garantiscano che la domanda sia trattata in modo conforme alle norme internazionali. Pertanto è opinione della Corte che lo Stato convenuto abbia violato le disposizioni della Convenzione non offrendo opportune misure di ingresso legale. 

La Corte ha osservato che il diritto spagnolo offriva ai ricorrenti diverse modalità per richiedere l’ammissione nel territorio nazionale. Secondo la Corte EDU i ricorrenti avrebbero potuto richiedere un visto invocando la protezione internazionale sia al valico di frontiera di Beni Enzar, sia presso le rappresentanze diplomatiche e consolari della Spagna nei loro paesi di origine o di transito.  

La Corte ha inoltre accertato che  il 1° settembre 2014, poco dopo gli eventi in esame, le autorità spagnole hanno istituito un ufficio per la registrazione delle domande di asilo (l’Unità speciale di protezione internazionale), aperto 24 ore su 24, al valico di frontiera internazionale di Beni Enzar. Secondo il rapporto della direzione della polizia di Melilla, anche prima dell’istituzione dell’ufficio, queste potevano essere registrate secondo una modalità legale prevista dall’articolo 21 della legge n. 12/2009.  

A tal proposito, il Governo ha dichiarato che su questa base, tra il 1° gennaio e il 31 agosto 2014, sono state presentate ventuno domande di asilo a Melilla, sei di queste sono state presentate al valico di frontiera di Beni Enzar. I richiedenti sono stati successivamente  accompagnati alla Stazione di polizia di Melilla al fine di presentare una domanda formale e provenivano da Algeria, Burkina Faso, Camerun, Congo, Costa d’Avorio e Somalia.  

La Corte ha inoltre osservato che né i ricorrenti né i terzi intervenienti hanno contestato in modo esaustivo quanto dichiarato dal Governo spagnolo. A ciò si aggiunge che la  disposizione in esame non implica un dovere generale per uno Stato contraente di far rientrare nella propria giurisdizione le persone che si trovano sotto la giurisdizione di un altro Stato. In altre parole, anche supponendo che esistessero difficoltà nell’avvicinarsi fisicamente al valico di frontiera nel lato marocchino, nessuna responsabilità può essere attribuita allo Stato convenuto.  

In base a ciò, la Corte EDU ha concluso che non vi era stata alcuna violazione dell’art. 4 del prot. 4 nel caso in esame poiché non h trovato prove che confermassero che i ricorrenti non avevano avuto reale ed effettivo accesso alle vie legali supplementari poste in essere dal Governo spagnolo. La Corte ha pertanto ritenuto che i ricorrenti si siano posti loro stessi in una condizione avversa partecipando al tentativo di oltrepassare le recinzioni di confine di Melilla il 13 agosto 2014 approfittando dell’ingente numero dei componenti del gruppo e facendo affidamento su modalità violente.  

Sulla questione della violazione dell’art. 13 in combinato disposto con l’art 4, prot. 4 della CEDU 

Articolo 13 – Diritto a un ricorso effettivo 

Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. 

La Terza Sezione della Corte EDU ha ritenuto che le doglianze dei ricorrenti fossero apprezzabili ai fini del riconoscimento della violazione dell’art. 13 della Convenzione e che i ricorrenti fossero stati privati di qualsiasi ricorso che consentisse loro di presentare il reclamo ai sensi dell’art. 4 Prot. n. 4 presso un’autorità competente e di ottenere una valutazione approfondita e rigorosa delle loro richieste prima del rinvio. La Terza Sezione nel 2017 ha quindi ritenuto che vi fosse stata una violazione dell’art. 13 in combinato disposto con l’art. 4 Prot. n. 4. 

La Grande Camera ha invece affermato che, sebbene la legge spagnola preveda una possibilità di ricorso contro gli ordini di allontanamento alla frontiera, i ricorrenti stessi erano tenuti a rispettare le regole per presentare un tale ricorso contro il loro allontanamento. Sulla base di quanto affermato nell’esame relativo all’art. 4 Prot. n. 4, la Corte ha ritenuto che i ricorrenti si siano posti in una situazione illegale tentando deliberatamente di entrare in Spagna. Essi avrebbero pertanto scelto di non utilizzare le procedure legali esistenti per entrare legittimamente nel territorio spagnolo. Pertanto la Corte EDU ha ritenuto che lo Stato convenuto non fosse responsabile per non aver messo a disposizione dei ricorrenti uno strumento di ricorso legale contro la misura dell’allontanamento stesso. In conclusione la Corte ha ritenuto che non vi fosse alcuna violazione dell’art. 13 CEDU. 

Una sentenza controversa 

La Grande Camera della Corte Edu nel caso N.D. e N.T. si è espressa sulla questione delle “devoluciones en caliente” (espulsioni a caldo) a ridosso della frontiera ribaltando il precedente giudizio di una delle sue Camere.  

I giudici di Strasburgo, pur confermando la natura dell’art. 4 prot. 4  e la propria giurisprudenza a riguardo, hanno motivato l’esclusione della violazione sulla base della condotta irregolare dei richiedenti asilo in quanto ha ritenuto che vi fossero vie legali alternative per presentare la domanda di protezione internazionale. 

La Grande Camera ha scelto di percorrere una strada inedita ed ha conferito rilevanza determinante alla condotta dei ricorrenti. Questi avrebbero deliberatamente approfittato della dinamica di gruppo per tentare di attraversare il confine in maniera irregolare e facendo uso della forza. Tale decisione sembrerebbe contestabile sulla base delle precedenti sentenze a cui la stessa Corte fa riferimento per il giudizio.  

Nelle precedenti decisioni infatti, la condotta colpevole era associata a comportamenti differenti come ad esempio il rifiuto di collaborare attivamente con le forze dell’ordine nel mostrare i propri documenti di identità al fine di facilitare le pratiche di identificazione.  

In altre parole, si trattava di condotte che pregiudicavano la possibilità di garantire i diritti contenuti nella Convenzione e non erano condotte relative allo spostamento migratorio illegale di per sé.  

A tal proposito si può facilmente notare che, dopo l’intervento della Guardia Civil, nulla avrebbe impedito di effettuare i controlli appropriati e specifici dei singoli individui

La sentenza della Corte non può che risultare controversa e motivo di dibattito ma, in ogni caso, deve farci riflettere sul perché quelle vie di accesso ritenute alternative non siano state utilizzate. 

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Vice-presidente Large Movements APS | Climate Change e Migration Specialist | Dottore in Relazioni Internazionali | Blogger in Geopolitica, Geoeconomia e tematiche Migratorie | Referente LM Environment

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