Lunedì 20 marzo 2023 il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) ha concluso la pubblicazione del Sesto Rapporto di Valutazione (AR6) attraverso il rapporto di Sintesi (Syntesis Report – SYR6), il quale integra i risultati dei tre gruppi di lavoro e dei tre rapporti speciali che si sono susseguiti tra il 2018 e il 2022.
Il rapporto finale di sintesi trae importanti spunti di riflessioni dalle ricerche portate avanti dai tre gruppi di lavoro durante il sesto ciclo di valutazione ma, a differenza dei precedenti, è il risultato di una negoziazione politica in quanto viene approvato dai Governi. Per questo motivo il rapporto di sintesi influenza l’agenda dell’azione per il clima e, pertanto, non è di poco conto notare che non vi è traccia della posizione sulle migrazioni climatiche elaborata nel corso degli ultimi anni dall’IPCC.
Ma cosa è l’IPCC?
Si tratta di un organismo di natura tecnica che agisce come mediatore tra il mondo scientifico e i decisori politici per raggiungere una comprensione maggiore del cambiamento climatico e per disporre gli strumenti necessari per intraprendere le dovute azioni. I rapporti di sintesi vengono pubblicati alla fine di ogni ciclo di valutazione e hanno il compito di trarre delle conclusioni e le raccomandazioni dai rapporti pubblicati durante il ciclo dai tre gruppi di lavoro tematici. Per il sesto rapporto di sintesi i report pubblicati sono: Rapporto speciale Riscaldamento Globale di 1.5 (2018), Rapporto speciale Climate Change and Land (2019), Rapporto speciale Oceano e Criosfera in un clima che cambia (2019), Rapporto del primo gruppo di lavoro le basi fisico-scientifiche (2021), Rapporto del secondo gruppo di lavoro Impatti, adattamento e vulnerabilità (2022), Rapporto del terzo gruppo di lavoro Mitigazione dei cambiamenti climatici (2022).
I rapporti contengono raccomandazioni e potenziali strategie di risposta, oltre ad elementi che possono essere inclusi in potenziali nuove convenzioni internazionali. In altre parole il Gruppo intergovernativo fornisce lo standard di riferimento più importante in materia di cambiamenti climatici e la sua posizione sulle migrazioni climatiche non può che scuotere l’intero dibattito in materia.
L’evoluzione della posizione dell’IPCC sui “migranti climatici”
La posizione dell’IPCC è mutata nel corso degli ultimi dieci anni grazie alla crescente base di evidenze e raccolta dati. In generale, il Gruppo intergovernativo afferma che i cambiamenti climatici possono avere il potere di rimodellare i flussi migratori e che le migrazioni possano essere una modalità valida per adattarsi agli impatti dei cambiamenti climatici e per tutelare i diritti delle persone e delle comunità colpite.
A tal punto è bene ricordare che l’IPCC per adattamento intende un processo volto a moderare o evitare i danni (o anche sfruttare le opportunità favorevoli) che derivano dal clima attuale od atteso ed ai suoi impatti. Con l’adattamento si vogliono pertanto anticipare gli effetti avversi dei cambiamenti climatici adottando misure adeguate a prevenire o ridurre al minimo i danni che possono essere causati, ad esempio, da fenomeni come le alluvioni, la siccità o le ondate di calore.
Le più recenti istantanee del Gruppo intergovernativo sulle prove relative alle migrazioni climatiche sono da ritrovarsi nel 2014 e nel 2022.
In occasione del quinto ciclo di valutazione, il rapporto “Climate Change 2014. Impacts, Adaptation, and Vulnerability” del secondo gruppo di lavoro (pp. 72-73) prevedeva che i cambiamenti climatici nel corso del secolo avrebbero aumentato gli spostamenti delle persone, rinvenendo un alto livello di accordo scientifico sul tema ma un medio livello di evidenze. Dal punto di vista della Human Security (sicurezza umana) le popolazioni con una minore disponibilità di risorse per la migrazione erano quelle più esposte ad eventi meteorologici estremi, sia nelle aree rurali che in quelle urbane, soprattutto nei Paesi a basso reddito. Da ciò ne discendeva che l’ampliamento delle “opportunità di migrazione” poteva ridurre la vulnerabilità ai cambiamenti climatici delle popolazioni più esposte, risultando la migrazione un’importante ed efficace strategia di adattamento.
Oltre a ciò il rapporto affermava che vi era poca fiducia nelle proiezioni quantitative, ossia di quante persone sarebbero state costrette a migrare per gli effetti dei cambiamenti climatici, a causa della natura complessa e multi-causale delle migrazioni. Non a caso, subito dopo si legge che “i cambiamenti climatici possono aumentare indirettamente i rischi di conflitti violenti sotto forma di guerre civili e violenza tra gruppi, amplificando le cause ben documentate di questi conflitti, come ad esempio la povertà e gli shock economici”. Sostanzialmente il rapporto del 2014 “prendeva tempo” e mostrava la necessità di raccogliere ulteriori prove sulla complessa relazione che intercorre tra clima e migrazioni.
Occorre notare che tra il 2014 e il 2022 si moltiplicano gli studi e, parallelamente, la raccolta dati sulle migrazioni climatiche, complice anche l’accelerazione degli stessi impatti climatici. Nel rapporto “Climate Change 2022. Impacts, Adaptation, and Vulnerability” elaborato durante il sesto ciclo di valutazione, pur continuando ad affermare che la relazione tra migrazioni e clima è complessa, l’IPCC afferma con maggiore certezza che il clima stia giocando un ruolo chiave nei modelli migratori.
Dal quinto ciclo di valutazione sono aumentate le prove che accertano l’influenza dei rischi climatici sulle migrazioni attraverso il deterioramento delle condizioni di vita vulnerabili al clima. In tal senso, viene affermato che la maggior parte di questa tipologia di migrazioni si verificano all’interno dei confini nazionali, mentre l’attraversamento di un confine internazionalmente riconosciuto avviene per lo più tra Paesi contigui. Sul punto si afferma che, dal 2008, una media annuale di oltre 20 milioni di persone è stata dislocata all’interno del Paese a causa di eventi estremi.
I fattori climatici più comuni che determinano migrazioni interne ed internazionali sono la siccità, le tempeste tropicali e gli uragani, le piogge abbondanti e le inondazioni. Rispetto al rapporto precedente, viene dichiarato che i risultati della migrazione legata al clima è molto variabile e dipendente da fattori socioeconomici e risorse familiari che ne influenzano il successo in termini di strategia di adattamento.
In estrema sintesi, maggiore è il grado di volontarietà della migrazione, maggiore è il potenziale beneficio per le aree di provenienza e di arrivo. Al contrario, più la migrazione è forzata (n.b. “involontaria” è il termine utilizzato nel rapporto), più saranno negativi gli effetti nei termini di salute, benessere e fattori socioeconomici per i singoli e le comunità. Quest’ultima tipologia di migrazioni avviene quando le opzioni di adattamento sono ridotte o non praticabili, ponendo chi è colpito in una grave condizione di vulnerabilità ai cambiamenti climatici. Ciò non esclude la possibilità di fenomeni di “immobilità” dovuti alla scelta delle comunità od alla mancanza di risorse per abbandonare il proprio luogo di origine. Quanto detto, in ogni caso, può essere il risultato di decisioni politiche e di una pianificazione su scala locale, regionale e nazionale.
La vera innovazione del rapporto del 2022 però risiede nel mettere in evidenza le implicazioni in termini di benessere e diritti coinvolti nelle migrazioni climatiche.
La vulnerabilità ai cambiamenti climatici risulta essere un fenomeno dinamico e multidimensionale plasmato dall’intersecarsi di processi storici e contemporanei di emarginazione politica, economica e culturale. A ciò si aggiunge che l’intersezione tra genere, razza, classe sociale, etnica, orientamento sessuale, appartenenza ad una popolazione indigenza e/o con altre determinati sociali può aggravare la condizione di vulnerabilità agli impatti dei cambiamenti climatici.
Per questi motivi l’IPCC avverte che le azioni di adattamento devono essere coerenti con le istanze di giustizia climatica ed affrontare i rischi a breve e lungo termine attraverso processi decisionali inclusivi, trasparenti, partecipati e basati sui diritti, anche nei confronti delle comunità storicamente emarginate. Le iniziative di giustizia climatica che affrontano esplicitamente le disuguaglianze multidimensionali possono ridurre le disuguaglianze nell’accesso alle risorse, ai beni ed ai servizi, così come la partecipazione ai processi decisionali ed alla leadership.
Cosa si afferma nel Sesto rapporto di sintesi dell’IPCC?
Per capire il valore politico del rapporto di sintesi occorre ricordare che l’IPCC utilizza tre processi che portano alla conclusione e alla pubblicazione dei suoi report:
- attraverso “l’approvazione” vengono conclusi e pubblicati i Summary for Policymakers. In questo caso la pubblicazione viene discussa riga per riga e viene trovato un accordo tra i Paesi membri dell’IPCC con la consultazione degli scienziati responsabili della stesura del rapporto;
- attraverso “l’accettazione” vengono conclusi e pubblicati i rapporti elaborati dai gruppi di lavoro dopo il processo di approvazione del Summary for Policymakers.
- attraverso “l’adozione” vengono conclusi e adottati i rapporti di sintesi dell’IPCC, come in questo caso. La pubblicazione viene discussa sezione per sezione e viene trovato un accordo tra i governi partecipanti in consultazione con gli autori. Oltre all’adozione, si segue il processo di approvazione sopra descritto per il Summary for Policymakers.
In base a quanto detto è evidente che il rapporto di sintesi e il suo Summary sono di fondamentale importanza per comprendere la prossima agenda climatica, potendo inoltre desumere su cosa gli Stati potrebbero essere più propensi ad impegnarsi e su cosa no.
Il Summary riconosce esplicitamente e categoricamente che “le attività umane, principalmente attraverso le emissioni di gas ad effetto serra, hanno inequivocabilmente causato il riscaldamento globale, con una temperatura superficiale globale che ha superato di 1,1°C quella del 1850-1900 nel periodo 2011-2020. Le emissioni di gas a effetto serra hanno continuato ad aumentare, con contributi storici ed attuali diseguali derivanti dall’uso insostenibile dell’energia, dall’uso e dal cambiamento di uso del suolo, dagli stili di vita e dai modelli di consumo e produzione tra le regioni, tra i Paesi ed all’interno degli stessi e tra gli individui”. Per quanto riguarda le migrazioni climatiche, però, vi è solo un vago riconoscimento del tema e si afferma che l’esposizione futura ai rischi climatici è in aumento a livello globale a causa delle tendenze di sviluppo socio-economico, tra cui la migrazione, la crescente disuguaglianza e l’urbanizzazione.
Analogamente la Sintesi riconosce che vi è un elevato consenso sul fatto che i cambiamenti climatici stanno determinando nuovi modelli di mobilità e in particolare di sfollamenti forzati. Tuttavia, mancano molti degli spunti di riflessione e di analisi elaborati dal secondo gruppo di lavoro.
Se nel rapporto principale del 2022 analizzato poc’anzi la migrazione climatica poteva essere vista come una possibile forma di adattamento, riconoscendo che non tutte le migrazioni climatiche – soprattutto se forzate – possono essere analizzate sotto questa lente, nella sintesi pubblicata il 20 marzo 2023 i riferimenti all’adattamento ai cambiamenti climatici vengono quasi del tutto eliminati. Nel rapporto di sintesi si legge che ridurre i rischi futuri di migrazioni forzate indotte dai cambiamenti climatici è possibile attraverso sforzi cooperativi ed internazionali per migliorare la capacità di adattamento e raggiungere lo sviluppo sostenibile. In tal senso, secondo il rapporto, l’aumento della capacità di adattamento riduce al minimo il rischio associato alla migrazione forzata ed all’immobilità e migliora il grado di scelta con cui vengono prese le decisioni in materia di migrazione, mentre gli interventi politici possono rimuovere le barriere ed ampliare le alternative per una migrazione sicura, ordinata e regolare che consenta alle persone in condizione di vulnerabilità di adattarsi ai cambiamenti climatici.

Le migrazioni come adattamento ai cambiamenti climatici e la necessità di analizzare le migrazioni attraverso le lenti della giustizia climatica e ambientale
Come abbiamo visto, le migrazioni possono essere viste come un potente strumento di adattamento ai cambiamenti climatici ma la domanda principale è: “chi deve migrare?”.
In generale il concetto delle “migrazioni come adattamento” porta dietro di sé due riflessioni interessanti:
- le persone già oggi migrano per sfuggire dai rischi dei cambiamenti climatici
- questo concetto può essere un modo per capovolgere la narrativa che vede i “rifugiati climatici” come una prossima minaccia e mostrare la migrazione come una parte delle soluzioni
Quanto detto però non è privo di questioni spinose.
In primo luogo occorre domandarsi chi può trasferirsi ed effettuare una migrazione, soprattutto in condizioni sicure.
Probabilmente chi ha più disponibilità di soldi e tempo avrà la possibilità di effettuare una migrazione maggiormente sicura. Talvolta, in molti contesti di crisi, ciò è possibile solamente per chi fa parte, direttamente o indirettamente, di potentati locali o che possono godere delle disponibilità economiche di quelle stesse multinazionali che devastano il territorio interessato. Per tutti gli altri, ad esempio per chi viene espropriato dei propri terreni a causa dell’inquinamento petrolifero, non resta che un percorso lungo e con molti pericoli.
In secondo luogo, in linea con il primo punto, c’è il rischio di non fotografare correttamente i diritti violati delle persone in condizione di vulnerabilità ai cambiamenti climatici, portando spesso a leggere questo fenomeno nell’ambito delle migrazioni economiche. Quest’ultimo tipo di migrazioni, seppur legittime, chiamano in causa una diversa tipologia di diritti da tutelare, diversi strumenti di policy da mettere in campo ed una diversa normativa nazionale e sovranazionale di riferimento.
In terzo luogo, le migrazioni come forma di adattamento, soprattutto se attuate attraverso strumenti di policy e gestite a livello nazionale attraverso meccanismi di governance, potrebbero aumentare le disuguaglianze già esistenti. Senza tenere conto, e ciò sembrerebbe essere confermato dalla decisione di eliminare ogni riferimento alle migrazioni come forma di adattamento, che gli Stati membri dell’IPCC risultano ancora essere riluttanti nel finanziare i progetti internazionali destinati all’adattamento.
Al di là delle questioni spinose, occorre però evidenziare che tale concetto può essere rivitalizzato solamente attraverso un corretto approfondimento delle istanze di giustizia climatica ed un’analisi che riesca a ripartire da un approccio fondato sui diritti umani utile a riconoscere l’ampio spettro delle vulnerabilità climatiche. Difatti, non c’è ormai dubbio che la disuguaglianza climatica possa essere un moltiplicatore di ingiustizie: se molteplici diritti umani sono interconnessi con la situazione ambientale, la crisi climatica non può che esacerbare le disuguaglianze, le discriminazioni e la violenza.
È sempre più urgente adottare approcci sistematici e cooperativi che rispondano alle esigenze delle singole comunità colpite dal cambiamento climatico, anche creando spazi di dialogo e co-costruzione con loro nel corso dei negoziati. Quanto detto non può prescindere dalla necessità di una corretta attuazione delle politiche di adattamento, soprattutto nei Paesi di origine delle migrazioni, e dal riconoscimento di forme di tutela dei migranti climatici ed ambientali nei Paesi di arrivo.
Da ultimo occorre ricordare che il ruolo dell’IPCC è quello di valutare le prove disponibili e che la sua valutazione può “cambiare” soltanto alla luce di una crescita delle prove sulle migrazioni indotte dai cambiamenti climatici. Per questo motivo risultano essere di assoluta importanza progetti di ricerca, promossi anche dalle Organizzazioni della società civile, che intendono indagare ed arricchire la comprensione del fenomeno delle migrazioni climatiche e le sue diverse declinazioni.
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Vice-presidente Large Movements APS | Climate Change e Migration Specialist | Dottore in Relazioni Internazionali | Blogger in Geopolitica, Geoeconomia e tematiche Migratorie | Referente LM Environment
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