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DECOSTRUIRE GLI STEREOTIPI: È CORRETTO PARLARE DI INVASIONE?

Per questo nuova uscita del ciclo “Decostruiamo gli stereotipi” proviamo a fare un esperimento che, pur non seguendo un metodo scientifico, ci permette di comprendere empiricamente quanto detto negli articoli precedenti, cioè quanto la corretta rappresentazione di un fenomeno sia fondamentale per la sua effettiva comprensione.

Proviamo a digitare in un motore di ricerca la parola “migranti”, e selezioniamo “immagini”. Quali sono i risultati?

Questo potrebbe essere un esempio:

Figura 1: ricerca per immagini della parola “migranti” effettuata dall’autrice sul motore di ricerca Google

Analizziamo questo screenshot: le immagini sono per la stragrande maggioranza di imbarcazioni colme di persone o di naufragi in mare. Non ci sono volti singoli, bensì masse di persone indistinte su barche di fortuna o gommoni.

Concentriamo ora la nostra attenzione sui suggerimenti di parole (che anche i nostri lettori possono agevolmente verificare facendo la stessa ricerca) tra la barra di ricerca e le immagini: mare, Ventimiglia, spiaggia, gommone. Come è facile intuire, queste parole rimandano ad una determinata rappresentazione del fenomeno migratorio: quella di una gran quantità di persone che arriva sulle nostre coste, varcando i confini degli Stati Membri – Ventimiglia è la città di confine con la Francia definita “la porta occidentale d’Italia” – in cerca di protezione e/o assistenza.

Si potrebbe pensare che la comparsa di immagini raffiguranti un gruppo di persone sia legata da un vizio formale della ricerca, ossia all’aver digitato la parola “migranti” al plurale. Abbiamo quindi provato a digitare il termine al singolare – “migrante” – ottenendo però lo stesso risultato.

In via preliminare, abbiamo iniziato a chiederci: che sensazioni trasmettono queste foto?

Per poter elaborare una risposta il quanto più possibile obiettiva e completa, abbiamo provato a fare lo stesso esperimento con i termini “rumeni” “italiani” e “finlandesi”. Ecco dei possibili risultati:

Figura 2: ricerca per immagini della parola “rumeni” effettuata dall’autrice sul motore di ricerca Google
Figura 3: ricerca per immagini della parola “itlaiani” effettuata dall’autrice sul motore di ricerca Google
Figura 4: ricerca per immagini della parola “finlandesi” effettuata dall’autrice sul motore di ricerca Google

Che immagini mostrano tutte queste ricerche? Delle rappresentazioni fortemente stereotipate.

Come si può facilmente vedere, nei risultati di ricerca correlati al termine “italiani” (Figura 3), è fortemente presente la bandiera tricolore; mentre in quelli correlati al termine “finlandesi”, sono prevalenti donne bionde dagli occhi azzurri (Figura 4).

Se passiamo poi ad analizzare la ricerca circa il termine “rumeni” (di cui non abbiamo messo lo screenshot integrale per tutelare la privacy e la dignità delle persone raffigurate), vediamo come queste vengono quasi sempre rappresentate come criminali. La ricerca, infatti, ha prodotto come unici risultati decine di foto segnaletiche. Le parole associate in questo caso poi, sono “tuta” “adidas” ed “ak-47” – oggetti che spesso attributi alla popolazione rumena tramite la diffusione di meme stereotipizzanti nei vari Social Network. In sostanza, queste parole riportano ad un immaginario collettivo che dipinge le persone provenienti dai Paesi balcanici come violente e/o in associazione ad un determinato marchio di abbigliamento.

Vogliamo ricordare ai lettori che questo non è un esperimento scientifico ma un piccolo test che chiunque potrebbe effettuare dai propri dispositivi elettronici per comprendere effettivamente quanto sia importante una corretta rappresentazione dei fenomeni e delle categorie sociali. Queste immagini stereotipate, infatti, plasmano e sono plasmate dall’opinione pubblica.

Come scrive lo psicologo e sociologo Moscovici “ciascuno di noi è ovviamente circondato […] da parole, idee, immagini che penetrano gli occhi, le orecchie e la mente, che ci piaccia o no e che ci sollecitano senza che noi ne siamo consapevoli.”

La conoscenza, quindi, è socialmente elaborata e partecipata e permette di strutturare un pensiero sociale che veicola queste immagini semplici e stereotipate per rappresentare una realtà complessa.

La narrativa sulle migrazioni in Italia e qualche dato…

Al giorno d’oggi la narrazione (o rappresentazione) sulle migrazioni in Italia si fa forte di immagini, idee e (pre-)concetti stereotipati, ne è una prova il piccolo test fatto in precedenza.

Come spiegato nell’articolo precedente viene spesso categorizzato come “crisi” il movimento migratorio che ha interessato l’Europa nel periodo 2014 – 2016. La conseguenza dell’abuso di questo termine è stata quella dell’aver radicato  nei cittadini europei la percezione delle migrazioni come un “rischio”.

Anche a seguito della propaganda elettorale di alcuni partiti politici in Europa poi, il tema della migrazione viene utilizzato nel dibattito sociale quasi esclusivamente per smuovere emozioni, sentimenti e paure dell’opinione pubblico. È ormai comune, infatti, il sentir parlare nei media – tradizionali e non – di “invasione”, “blocco navale”, “immigrazione clandestina”.

Sono questi tutti concetti che hanno a che fare con l’immaginario del tutto stereotipato e fuorviante che stiamo tentando di decostruire, quello che mette in diretta correlazione i seguenti termini: migrante, nero, uomo, criminale, clandestino, extracomunitario.

Soffermiamoci un attimo su quest’ultima parola: “extracomunitario”. Questo termine effettivamente indica qualcuno che vive al di fuori della Comunità Europea ma, nell’immaginario collettivo, quando si usa questa espressione non si pensa mai ad un cittadino americano, ad esempio, ma sempre ad una persona proveniente da un Paese africano o mediorientale. Questo vuol dire che a detto termine viene associata una connotazione puramente negativa.  

L’utilizzo di termini allarmistici ha un qualche fondamento?

In realtà no, non lo aveva nel periodo 2014 – 2016 e men che meno ora.

Come spiegato dal Report Istat infatti, “i flussi in ingresso sono tornati ai livelli pre-pandemia ma non c’è stato un vero e proprio recupero”. Anche qui è doveroso una precisazione: con lo scoppio della guerra russo-ucraina è stata fatta – in alcuni casi esplicitamente, in altri in maniera implicita – una distinzione tra “profughi buoni” (quindi ben accetti dalla società) cioè quelli ucraini, percepiti “come noi”; e “profughi pericolosi” ossia il restante. Anche in piena zona di guerra, tra le persone che fuggivano dallo stesso conflitto (quello russo-ucraino appunto), si è fatta una “selezione” tra cittadini non bianchi – africani, asiatici del sud e mediorientali – che sono stati allontanati per dare precedenza ai “veri ucraini aventi diritto per carnagione ed etnia”.

Che matrice ha questo comportamento? Come possiamo definirlo? Perché se riproponiamo il test fatto in precedenza con il termine “ucraini” si vedono immagini di resistenza, famiglie strette in abbracci mentre se cerchiamo “palestinesi” le immagini rappresentano armi e violenza?

A luglio 2022 i profughi ucraini erano poco più di 160 mila ma, seppur questo dato sia simile al numero di persone arrivate via mare sulle coste italiane nel periodo 2014 – 2016, nessuno ha mai parlato del fenomeno in termini allarmistici né si è gridato all’invasione da parte degli ucraini del suolo italiano.

In ultimo, secondo Frontex – l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera – non solo la principale via di entrata in Europa non è la rotta mediterranea, bensì quella balcanica (che interessa Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca), ma gli arrivi irregolari in Unione Europea sono diminuiti.

Figura 5: arrivi irregolari annui 2015-2022; Fonte: Frontex

Ricordiamo inoltre, come sia errato utilizzare una retorica di guerra quando si parla di migrazione in Italia in quanto non solo non c’è nessun “allarme” o “pericolo”, ma il primo Paese per numero di residenti stranieri continua ad essere la Germania seguita a distanza dalla Spagna e dalla Francia. L’Italia si trova al quarto posto, per di più il numero di stranieri residenti in Italia è rimasto relativamente stabile, se non addirittura leggermente in diminuzione.

In conclusione

Come abbiamo avuto modo di vedere, i dati sugli arrivi irregolari, per quanto non potranno mai essere calcolati in maniera esatta, smentiscono la narrativa di “invasione” a cui ormai da anni siamo abituati. Come spiega anche il Rapporto annuale Istat è sbagliato associare la persona migrante al rifugiato. Tanto è vero che i permessi di soggiorno concessi per motivazioni connesse all’asilo, anche durante la “crisi dei rifugiati del Mediterraneo” fino al giorno d’oggi, sono stati inferiori rispetto ai permessi rilasciati per motivi familiari – tutt’ora prevalenti.

Anche la descrizione della persona migrante è errata: in Italia tra le nazionalità presenti prevalgono i rumeni (circa 1.080.000 cittadini, il 20,8% del totale), seguiti da albanesi (8,4%), marocchini (8,3%), cinesi (6,4%) ed ucraini (4,6%) situazione pressoché invariata rispetto agli anni precedenti la guerra in Ucraina.

Le principali caratteristiche demografiche dimostrano che la divisione tra i sessi è pressoché simile –  non c’è quindi una prevalenza maschile, come denunciato spesso da alcuni politici. Anche il mito della massiva presenza di persone migranti musulmani è smentito: secondo la fondazione ISMU “gli stranieri residenti in Italia di religione cristiana (prevalentemente ortodossi, cattolici, evangelici e copti) si confermano come il gruppo maggioritario per appartenenza religiosa”.

Quindi gli stranieri presenti ad oggi in Italia non sono né in maggioranza uomini, né musulmani, né arrivati via mare e né rifugiati. Sono in maggioranza nazionalità radicate nel nostro Paese da più di vent’anni.

Per tutto quanto sopra discusso, parlare di “invasione” risulta fuorviante ed errato per costruire una buona e corretta narrazione sul fenomeno migratorio. In più le persone migranti non hanno alcun interesse nell’“invaderci”, stanno semplicemente esercitando un loro diritto, sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (e da tantissimi altri trattati di diritto internazionale), di poter vivere una vita dignitosa in sicurezza.

Per un corretto utilizzo del termine invasione, dobbiamo tornare al periodo del colonialismo, è stata quella un’epoca in cui i Paesi europei occuparono con la forza territori abitati da popoli ritenuti “arretrati” per depredarne le risorse.

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