Mutilazioni Genitali Femminili: sensibilizzazione europea e proposte di contrasto

In questi tempi di massive migrazioni dai paesi che attuano le pratiche di mutilazioni genitali femminili, il tema è diventato sempre più caldo tanto che l’Assemblea Generale dell’ONU ha istituito la Giornata Mondiale contro le Mutilazioni Genitali Femminili (MGF), che ricorre il 6 febbraio a partire dal 2012.

Tra le pratiche di mutilazione genitale femminile rientrano tutte quelle procedure eseguite su ragazze o bambine al fine di alterare genitali, per ragioni non mediche, con la parziale o totale rimozione dei genitali esterni. Una delle più diffuse è l’infibulazione.

Per mezzo di queste pratiche, i diritti umani fondamentali delle donne vengono palesemente violati, mettendo delle giovani ragazze o bambine di fronte a dei gravi abusi irreversibili.

Nel mondo queste pratiche sono altamente diffuse, maggiormente nei paesi africani come il Gibuti, la Somalia, il Sudan, la Guinea, la Sierra Leone ed il Mali, principalmente per motivi tradizionali e religiosi. Queste vengono accostate ad un ideale di bellezza e purezza sviluppato nei tempi precedenti alla diffusione del Cristianesimo e dell’Islam.

Rientrando tra le pratiche abusive, viene generato nelle donne che le subiscono, un senso di inadeguatezza e violenza che si riversa totalmente nei rapporti sociali.

In Europa, le donne migranti provenienti dai paesi sopracitati che hanno subito mutilazioni genitali femminili sono circa 600.000. È pur vero che, nonostante sia una tradizione raramente praticata in Europa, esiste in questo contesto occidentalizzato una percentuale di personale medico e non che le pratica al fine di ricevere una remunerazione e accondiscendere le richieste dei migranti che esportano le tradizioni, in questo caso negative, dei Paesi di origine.

In Italia ed in Europa

Nel contesto italiano, fonti del Ministero della Salute hanno rilevato che la patria di questo fenomeno è ancora il continente africano, specialmente dell’area subsahariana e della penisola arabica, ma che vengono praticate anche in Europa ed in Italia, come effetto collaterale dell’immigrazione.

Secondo la legge 9/2006 n. 7, per contrastare questa pratica ormai relativamente molto diffusa, lo Stato italiano condanna coloro che praticano l’infibulazione o simili con punizioni come la reclusione da 4 a 12 anni, con aggravanti consistenti se compiute su minorenni e se eseguite con scopo di lucro.

A rischio risultano almeno 3 milioni di donne a cui viene praticata questa brutalità, molte delle quali al di sotto dei 15 anni.

Inoltre, facendo riferimento alla legge sopracitata, il Ministero della Salute italiano ha il compito di emanare delle linee guida rivolte alle professioni sanitarie e ad altre figure specifiche, che sono in contatto ed operano nelle comunità dei migranti provenienti dai paesi in cui si praticano le mutilazioni genitale femminile, al fine di intraprendere attività di prevenzione, assistenza e riabilitazione delle donne e delle bambine che hanno subito le pratiche.

Tra le varie azioni, si pone un’attenzione particolare anche sulle figlie delle donne migranti che hanno già subito mutilazioni nei Paesi di origine.

Le linee guida vengono considerate dei veri e proprio strumenti di prevenzione in mano alle regioni per far sì che i territori e le strutture di accoglienza abbiano una formazione completa per tutelare le (possibili) vittime e prevenire la diffusione, anche nel territorio italiano, delle mutilazioni genitali femminili. In questo modo le conoscenze personali, le modalità di cura ed il sistema sanitario tutto si adattano a rispondere adeguatamente ed efficacemente ai bisogni di una specifica categoria della popolazione.

L’importanza degli obiettivi prefissati da questa legge, nello specifico l’affermazione del rispetto della donna come persona, della sua dignità, del diritto all’integrità del suo corpo, alla salute e all’esercizio delle libertà fondamentali, sono il motivo per cui sono previste risorse finanziarie per formazione, campagne di informazione e divulgazione della cultura dei diritti umani e dell’integrità della persona.

Nei Paesi d’origine, le pratiche di mutilazione genitale femminile sono considerate una sorta di rito di passaggio che le giovani adolescenti sono obbligate a ricevere come processo di transizione verso l’età adulta.

Coloro che non ricevono alcuna mutilazione vengono considerate non idonee al matrimonio, perché non pure.

Le ragazze e le famiglie che si rifiutano di accettare le pratiche ricevono delle etichette sociali e vengono escluse dalla vita comunitaria. Di conseguenza, esiste una sorta di obbligo implicito. Per evitare qualsiasi tipo di emarginazione le famiglie acconsentono a mutilare e violare le proprie figlie in età infantile.

Pensare che anche in uno dei continenti più occidentalizzati e globalizzati esiste, anche se illegalmente, chi si presta ad attuare queste pratiche, ha spinto alcuni attori della comunità europea ad analizzare i dati reali che ricadono nelle pratiche di mutilazione genitale femminile al fine di produrre strumenti utili agli organi decisionali dell’Unione Europea per contrastare questo fenomeno.

Tra questi attori esiste la Rete Europea End FGM, composta da 32 organizzazioni che lavorano per garantire un’azione europea sostenibile per porre fine alle MGF.

Gli obiettivi strategici della rete comprendono il garantire un approccio europeo, coordinato e basato sui diritti umani e sull’infanzia; il costruire ponti tra gli attori e i paesi interessati; e rafforzare il movimento europeo per porre fine alle mutilazioni genitali femminili.

È stimato dalla Rete Europea che oltre 600.000 donne abbiano subito pratiche di mutilazione genitale femminile e che circa 190.000 ragazze siano a rischio di subirle in 17 paesi europei.

Studi nazionali, rimessi insieme dalla Rete End FGM, hanno evinto che le pratiche di mutilazione genitale femminile esistono in Europa da molto tempo e che ci sono profonde spaccature che dovrebbero essere sanate al fine di sviluppare adeguate politiche a livello europeo e nazionale sulle mutilazioni.

I numeri di donne che le hanno subite raggiungono ed oltrepassano le 30.000 unità in paesi come Regno Unito (137.000), Svezia (38.939), Francia (125.000), Italia (87.600), Germania (74.899) e Paesi Bassi (41.000), con dati aggiornati tra il 2015 ed il 2019.

Inoltre, Grecia (15.249), Spagna (15.907), Belgio (17.575) e Svizzera (14.700) raggiungono numeri preoccupanti date le dimensioni e gli afflussi migratori relativamente minori rispetto ai principali paesi che accolgono.

Le sfide principali che la rete affronta oggi sono:

  • la mancanza della conoscenza della comunità professionale sulle pratiche di mutilazione genitale femminile per coloro che sono a stretto contatto con le vittime;
  • l’accesso limitato ai finanziamenti per le comunità locali per attuare una cooperazione attiva;
  • la mancanza di dati e ricerche aggiornate che possano aiutare a stimare i campi e le azioni per intervenire sul campo;
  • la limitazione di un approccio sistematico ed olistico alla fornitura dei servizi necessari a combattere le pratiche di mutilazioni genitali femminili.

Inoltre, la Rete Europea End FGM opera per assicurarsi che i rappresentati della politica europea siano attivi per mantenere ed accrescere il proprio commitment per porre fine alle mutilazioni genitali femminili attraverso strumenti come una maggiore consapevolezza degli impegni comunitari sulle MGF; sostenendo ONG, OSC e comunità nell’affrontare le pratiche; attuare un approccio coordinato incentrato sui diritti umani e sulla tutela infantile nei settori specifici necessari a porre fine alle MGF.

Anche l’EIGE, European Institute for Gender Equality, un’agenzia dell’Unione europea, tra le sue funzioni, aiuta a stimare il rischio di mutilazioni genitali femminili nel territorio europeo, combinando dati ed evidenze sul campo e consentendo agli stati membri di accedere alle informazioni al fine di combattere le pratiche diffuse.

Dal 2012, l’EIGE si occupa del monitoraggio attraverso un’analisi della situazione delle mutilazioni genitali femminili negli Stati membri dell’UE, in particolare per quanto riguarda i dati di prevalenza, il quadro politico e giuridico, gli attori che si occupano di MGF e i loro approcci. 

Quello che è realmente emerso dalle analisi è stato un enorme vuoto di strumenti per sostenere i responsabili politici nel contrasto alle pratiche di mutilazione genitale femminile.

Grazie ai dati raccolti e alle analisi degli stessi, gli Stati Membri hanno riscontrato aumenti ingenti delle pratiche di mutilazione genitale femminile, principalmente in coloro che provenivano nei paesi in cui sono maggiormente praticate.

La strada su cui la comunità europea dovrebbe percorrere i propri passi implica una strategia globale, basata su un approccio di sensibilizzazione principalmente ai diritti umani ed alla libertà di genere.

Progetti europei ed evidenze

Le raccomandazioni della comunità internazionale, a cui si aggiunge la voce dell’Europa, sono concentrate sulla necessità primaria di un cambiamento, che sia graduale e guidato, delle norme sociali e culturali che sostengono le violenze rientranti nella categoria delle mutilazioni genitali femminili.

Lo scopo fondamentale di queste politiche dovrebbe essere incentrato sulla tutela delle donne, sul dare loro la voce per parlare di quello che loro stesse non possono dire ad alta voce.

In numerosi paesi in Europa, tra cui l’Italia realtà come quella di AIDOS, Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo, esistono progetti a sostegno delle vittime di violenza da mutilazioni genitali femminili volte principalmente al sostegno ed all’assistenza psicosessuale verso coloro che hanno subito le pratiche in Africa, ma anche in Europa.

L’obiettivo principale di questi progetti consiste nell’abbandono globale delle mutilazioni genitali femminili, attraverso il coinvolgimento delle comunità di migranti nei paesi europei, creando dei ponti utili all’obiettivo anche coinvolgendo i Paesi di origine.

I progetti in Europa e nel mondo che contrastano massivamente le pratiche di mutilazioni genitali femminili si impegnano principalmente con azioni concrete che possano creare una prassi normalizzata per le comunità più colpite.

Anche l’Agenda 2030 UNDP ha inserito nell’obiettivo 5 dei Sustainable Development Goals l’impegno “Garantire l’accesso universale alla salute sessuale e riproduttiva e ai diritti riproduttivi come concordato in conformità con il Programma d’azione della Conferenza Internazionale sulla popolazione e lo sviluppo e la Piattaforma d’azione di Pechino e i documenti finali delle loro conferenze di revisione”.

Di conseguenza, la comunità internazionale si impegna a far sparire o quantomeno ridurre le pratiche di mutilazione genitale femminile entro i prossimi dieci anni.

L’azione a livello globale dovrà essere predisposta e attuata in modo tale da creare una solida coscienza collettiva attraverso programmi e progetti principalmente nel settore sanitario e educativo al fine di concludere e archiviare l’atroce pratica delle mutilazioni genitali femminili.

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