Refugee (not) welcome: Ministeri e sistemi di accoglienza nell’Unione Europea. Parte 2: Belgio, Francia, Germania

Torna il secondo appuntamento di Refugee (not) Welcome, la rubrica di Large Movements che vi accompagna nella scoperta dei sistemi di accoglienza degli Stati Europei, studiandone le istituzioni e gli approcci all’integrazione dei migranti. A seguito del nostro primo articolo, in cui ci siamo concentrati sui Paesi europei di frontiera e il loro approccio securitario alla gestione migratoria, oggi ci spostiamo al centro Europa, nel cuore dell’Unione, ed andiamo ad analizzare la Germania, la Francia ed il Belgio.

Oltre alla posizione geografica, questi Paesi detengono un ruolo decisionale centrale nell’Unione Europea, e si identificano per un modello di integrazione che può definirsi assimilativo, o repubblicano. Quest’ultimo implica una concezione universalistica dei diritti dei cittadini: se gli stranieri adottano i principi ed i valori dello Stato di residenza – tra cui anche l’utilizzo della lingua – possono godere, a livello formale, degli stessi benefici riservati ai cittadini nazionali. Di conseguenza, chi decide di richiedere lo stato di rifugiato od ottenere la protezione internazionale in Francia, Germania e Belgio, deve conformarsi all’identità civica dello Stato che li accoglie.

Il processo: ministeri responsabili, ingresso e domande d’asilo

Belgio

Nonostante la sua estensione territoriale, il Belgio è conosciuto per il suo multiculturalismo, soprattutto per quanto riguarda i migranti di transito o coloro che vengono ricollocati a partire dai Paesi frontalieri dell’UE. Essendo uno Stato federale, le competenze in materia di immigrazione ed integrazione vengono gestite dalle varie regioni e dalle comunità ivi presenti. Infatti, il Governo centrale con sede a Bruxelles gestisce le richieste di asilo ed i ricollocamenti, mentre i rispettivi governi locali di Fiandre, Bruxelles-Capitale e Vallonia si occupano in seguito dell’inserimento socio-professionale.

L’autorità principale in materia di immigrazione è il Ministero dell’Interno, e nello specifico il Segretariato di Stato per l’Asilo e la Migrazione. Appena arrivati su territorio belga, i migranti vengono registrati dall’Agenzia Federale per la Ricezione dei Richiedenti Asilo (FEDASIL), mentre l’Ufficio Immigrazione, anche chiamato Ufficio per gli Stanieri (OE, “Office des étrangers”) e l’Ufficio del Commissario generale per i Rifugiati e le persone Senza Stato (CGRS) si occupano di analizzare le richieste di asilo. La procedura di asilo è regolata principalmente da due leggi:

  • Il cosiddetto “”, legge del 1980 che concerne l’ingresso, la residenza, l’insediamento e l’espulsione dei non-cittadini;
  • Il “” adottato nel 2007, che regola i diritti dei richiedenti asilo e di altre categorie che potrebbero godere di protezione internazionale.

Le autorità si basano specialmente sul Reception Act per valutare le richieste di asilo. Le persone che decidono di fare domanda per questo status si rivolgono all’OE, solitamente presso il centro di arrivo Petit-Château a Bruxelles, fornendo i propri dati e rispondendo ad un questionario sulle motivazioni che dovrebbero sostenere la loro richiesta. In seguito, l’OE sottopone la richiesta alla cosiddetta “Dublin examination” per verificare che altri Stati Membri non siano responsabili di prenderla in carico. Una volta superata questa fase, il CGRS ha il compito di rivedere le domande di asilo e di condurre delle interviste con i soggetti interessati, per verificare la veridicità delle loro dichiarazioni. Il CGRS è l’autorità ultima che riferisce i risultati delle procedure di asilo, approvandole o meno; nel caso esse vengano rifiutate, i migranti possono appellarsi al Consiglio per le Dispute legali sugli Stranieri (CALL). Se la decisione del CGRS è positiva, sono poi le autorità regionali a prendere in carico l’integrazione dei richiedenti asilo. Nelle Fiandre, in Vallonia e nella regione francese nell’area di Bruxelles ci sono specifiche agenzie e programmi sociali che offrono corsi di lingua e di orientamento professionale, e varie attività volte all’integrazione della persona. Per un miglioramento della gestione del fenomeno migratorio e snellimento amministrativo, il governo insediatosi nel 2020 aveva espresso l’intenzione di creare una Conferenza interministeriale periodica sull’Immigrazione e l’Integrazione, nonché la creazione un Codice di Migrazione – per il quale, al momento, è stata formata una Commissione indipendente per redarne i principi.

Francia

Da sempre terra di immigrazione, in Francia l’autorità competente in materia è il Ministero dell’Interno, responsabile di regolare i flussi di arrivo e di gestire il rilascio di visti, permessi e status di protezione internazionale. Al suo interno, il Direttorato Generale per i Cittadini Stranieri coordina i singoli Direttorati che si occupano di migrazione e asilo. In aggiunta, l’Ufficio francese per l’Immigrazione e l’Integrazione (OFII) si occupa dell’integrazione dei cittadini di Paesi terzi in Francia, mentre l’Ufficio per la Protezione dei Rifugiati e le Persone senza Stato (OFPRA) ha la responsabilità di supervisionare le procedure di asilo. A partire dal 2018, è stato anche istituita la figura di delegato interministeriale, a cui è stato dato il compito di ridefinire e valutare le politiche di integrazione francesi. A livello giudiziario, la Corte Nazionale d’Asilo (CNDA) è l’organo competente per le decisioni sulle richieste d’asilo.

Per coloro che arrivano in Francia sono presenti varie tipologie di centri. Sulla base del sistema nazionale di accoglienza dei richiedenti asilo, al loro arrivo i migranti possono recarsi presso le seguenti strutture: i centri di accoglienza per richiedenti asilo (CADA), che accolgono i profughi durante l’elaborazione della loro domanda d’asilo e gli forniscono alloggio, supporto amministrativo, sociale e medico per tutta la durata della procedura; gli  alloggi di emergenza per richiedenti asilo (HUDA), che è destinato ad accogliere temporaneamente i richiedenti asilo prima della loro eventuale ammissione a un CADA o che, a seconda delle regolamentazioni vigenti, non possono beneficiarvi, e varia in base alle esigenze ed alla disponibilità di budget; infine, i migranti possono recarsi presso i centri di accoglienza e reinserimento sociale (CHRS), che fanno parte del sistema di accoglienza generalista francese, e dunque non sono riservati ai migranti ma accolgono persone o famiglie che si trovano in difficoltà economiche, abitative, sanitarie o di integrazione, con l’obiettivo di supportarli durante il reinserimento nel tessuto sociale.

In aggiunta, alcune strutture in particolare sono riservate ai migranti entrati nel Paese, che vengono intercettati e per i quali, secondo le norme vigenti, non sussistono condizioni tali per ottenere status di protezione e restare in Francia. Esse si dividono in due macrocategorie: i centri situati propriamente all’interno del territorio francese ed i centri di frontiera. Tra i primi troviamo i Centri di Detenzione Amministrativa (CRA), riservati a coloro che sono in attesa di essere espulsi dal suolo francese. Solitamente il periodo massimo di permanenza in un CRA non può superare i 90 giorni, ma questo limite spesso non viene rispettato. Inoltre, molte associazioni ed enti della società civile ne criticano lo stato, dopo numerosi tentativi di suicidio e scioperi della fame che vi hanno preso luogo; i Locali di Detenzione (LRA) sono una versione in scala ridotta dei CRA, ovvero dei luoghi dove chi solitamente non ha una situazione regolare a livello di documentazione viene trattenuto fino al suo trasferimento in un CRA, o nel caso questa possibilità non fosse disponibile per mancanza di posti o lontananza eccessiva del Centro più vicino. Sulle frontiere, invece, troviamo le cosiddette “zone d’attesa” (ZA), strutture dove vengono detenuti gli stranieri che non soddisfano le normali condizioni di accesso per entrare in Francia – ad esempio, sono sprovvisti di documenti o visto. Esperti ritengono che questi luoghi sono di fatto una zona grigia, non trovandosi propriamente su suolo francese ma in una sorta di limbo territoriale; ne consegue che il trattamento subito dai migranti ivi trattenuti sia anche peggiore di quello testimoniato all’interno dei CRA. Ricadono in questa categoria anche i campi sui confini territoriali vicino alle Alpi, i “locaux de mise a l’abri” (locali di protezione), gestiti dalla Polizia di frontiera. A causa delle scarse condizioni igienico-sanitarie in cui versano queste strutture, molti di questi luoghi di detenzione de facto, durante la pandemia da Covid-19, sono diventati focolai del virus ed i migranti che vi risiedono sono stati esposti ad un altissimo rischio contagio.

Le politiche di asilo francesi sono regolate dal Codice di Entrata e Soggiorno degli stranieri e del Diritto d’Asilo (CESEDA), al quale si affianca una legge del 2018 volta ad accelerare la valutazione delle domande d’asilo e migliorare le condizione di accoglienza dei rifugiati. Nel 2016, una riforma del sistema di accoglienza francese ha istituito il Contratto di Integrazione Repubblicana (CIR), base di un percorso lungo 5 anni per il quale sono previsti corsi di lingua, formazione civica obbligatoria e training professionalizzanti per tutti coloro che desiderano stabilirsi permanentemente in Francia. Il sistema di integrazione francese è dunque ben strutturato e spesso aggiornato; tuttavia, è spesso criticato per la lentezza delle procedure amministrative.

Germania

Anche in Germania le questioni migratorie sono gestite dal Ministero dell’Interno, soprattutto per quanto riguarda la stesura legislativa delle politiche. La parte logistica è coordinata dall’Ufficio Federale per la Migrazione ed i Rifugiati (BAMF), che è anche l’organo istituzionale responsabile di processare le domande d’asilo. Come in Belgio, l’integrazione dei migranti è in seguito gestita dai governi dei singoli Länder (ovvero gli Stati federali, le entità amministrative che compongono l’intero Paese). Una volta sul territorio tedesco, coloro che desiderano fare richiesta d’asilo vengono registrati all’interno del Registro centrale per gli Stranieri, un database a cui accedono tutte le autorità pubbliche federali ed attraverso il quale si compie un primo screening sull’identità della persona. Dopodiché, al migrante viene fornito il primo documento ufficiale, ovvero la prova di arrivo sul suolo tedesco (Ankunftsnachweis). Attraverso il sistema “EASY”, i richiedenti asilo vengono distribuiti in quote di egual numero ed in seguito ripartiti tra i vari Länder, cosicché i vari Stati supportino in modo uguale l’onere della loro sussistenza. Qui, gli vengono forniti un alloggio ed un’indennità mensile. A questo punto, i richiedenti asilo possono inviare formalmente la domanda attraverso l’Ufficio federale, che la sottopone alla procedura di Dublino, e tiene in seguito un’intervista individuale con il richiedente. La concessione o meno dello status di rifugiato è regolata, oltre che dalla Convenzione di Ginevra, dal German Asylum Act, su cui si basa la decisione dell’Ufficio federale.

A livello di integrazione, la Germania presenta una struttura legislativa ed istituzionale solida e programmata. Il primo commissario per l’integrazione risale al 1978, e da allora i governi tedeschi hanno tutti istituito Piani Nazionali di Integrazione per far sì che il processo di inserimento dei migranti nella società fosse uniforme su tutto il territorio, permettendo una reale integrazione. L’Integration Act del 2016 è la prima legge a livello federale che regola l’integrazione dei rifugiati. È stata approvata in occasione dell’ondata di migranti che arrivò in Germania tra il 2015 e il 2016, per la quale l’allora cancelliera Angela Merkel decise di garantire l’accesso ad oltre un milione di profughi.

Il punto sull’integrazione: percezioni e sistemi di supporto per i migranti

Il quadro generale delle istituzioni che si occupano di migrazioni in questi Paesi ci mostra già un contesto molto diverso da quello che abbiamo trovato negli Stati al confine dell’Unione. L’organizzazione più pragmatica e programmata, oltre all’assenza di flussi migratori che non si trovano direttamente al loro confine, ha permesso a Belgio, Francia e Germania di raggiungere livelli di integrazione importanti e relativamente efficaci. Basti pensare che, secondo il rapporto dell’UNHCR per la Giornata Internazionale dei Rifugiati, nel 2019 segnala quasi 300 mila richiedenti asilo e rifugiati, circa una persona su mille. La Germania, invece, si era piazzata tra i 10 Paesi che accolgono più rifugiati al mondo, con più di un milione di rifugiati, e la Francia anche superava il nostro Paese, con quasi 460 mila rifugiati. Sempre secondo il sito dell’UNHCR, la Germania si conferma il Paese ospitante in maggior numero di rifugiati in Europa, con dati che riportano 1,24 milioni di rifugiati e 233.000 richiedenti asilo a metà del 2021. Eppure, questo successo non scongiura forme di marginalizzazione culturale e stigmatizzazione, così come la macchina burocratica di questi Stati non può dirsi sempre efficiente.

In Germania si parla della cosiddetta Willkommenkultur, riferendosi all’attitudine generale dei tedeschi all’accoglienza. Studi recenti su quei 1,2 milioni di rifugiati entrati nel Paese nel 2016 dimostrano un livello di integrazione tale, per la maggior parte di essi, da evitare fenomeni di radicalizzazione severi. Eppure, il sistema burocratico tedesco ed il fatto che le competenze sono divise tra vari enti ed autorità non sempre rende il processo di integrazione scorrevole e semplice: lo dimostra l’esistenza della categoria dei duldung, migranti non regolari che per questo motivo dovrebbero essere rimpatriati, la cui procedura è stata bloccata o ritardata e che quindi vivono sospesi tra regolarità ed irregolarità, continuando a vivere in Germania ma senza avere la possibilità di ottenere status di protezione, documenti e supporti. Anche l’Integration Act presenta delle discrepanze, che si fondano sull’idea condivisa che i migranti, per essere accolti in Germania, debbano integralmente adottarne la cultura: in principio, si può ritenere che sposare i valori di un Paese che ci sta accogliendo sia un’idea giusta; tuttavia, la situazione si complica se, come nel caso tedesco, il governo taglia i fondi a tutti coloro che, per qualunque motivo, non aderiscono ai corsi di lingua od ai training professionali previsti dalla legge.

In Francia ed in Belgio, il contesto è pressoché identico. Il primo è stato fortemente criticato per i respingimenti ed i trattamenti inumani dei migranti che valicano le Alpi al confine francese, o per la gestione dei CRA, frutto di un sistema che associazioni della società civile dicono fondato su una “criminalizzazione della migrazione”, che non viene riformato e che, anzi, incoraggia l’apertura periodica di nuove strutture del genere. Nonostante l’organizzazione relativamente strutturata, il tema delle migrazioni anche in Belgio è molto scottante, tant’è che nel luglio 2021 il governo è quasi caduto in seguito a uno sciopero della fame indetto da più di 400 sans-papier (ovvero, migranti che vivono e lavorano in Belgio da anni ma che a causa dei ritardi nelle procedure amministrative e di difficoltà burocratiche non sono mai riusciti ad ottenere documentazione per regolarizzarsi) per protestare contro gli ostacoli burocratici all’ordine del giorno che impediscono a migliaia di migranti di regolarizzare la loro situazione nel territorio. Inoltre, risale allo scorso dicembre la notizia di migliaia di persone accampate fuori dal centro di registrazione per i profughi a Bruxelles, dove l’amministrazione si è rivelata incapace di gestire il numero di domande arrivate, costringendo i migranti a dormire in strada nell’attesa. Entrambi i Paesi hanno inoltre enormi difficoltà a gestire i frequenti naufragi nella Manica, dove restano vittime molti migranti che provano a raggiungere le coste del Regno Unito.

La dualità che contraddistingue gli approcci di questi tre Paesi alla migrazione, divisi tra sistemi efficienti, integrazione programmata ed allo stesso tempo difficoltà di accettare veramente il multiculturalismo, oltre che a concrete difficoltà materiali nel gestire l’arrivo dei migranti sul territorio, fa in modo che accanto ad esempi di best practices evidenti, si trovino anche (e tristemente) casi di malagestione e discriminazione. Non stupisce, infatti, sapere che Francia e Germania sono due tra i Paesi che si sono “tirati indietro” quando è arrivato il momento di accogliere i richiedenti asilo presenti in Italia e Grecia, secondo il meccanismo (arrugginito e mal funzionante) di solidarietà europea. È quasi ironico che questi Stati, trovandosi nel cuore dell’Unione, in fondo ne rispecchino a pieno la prospettiva dell’UE sulla questione migratoria.

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Fonti esterne e approfondimenti:

European Migration Network (EMN) Struttura istituzionale per le politiche di migrazione e asilo in Belgio, aggiornata al 2019: https://emnbelgium.be/sites/default/files/publications/FINAL_Belgium%20organigramme%202019_0.pdf

Pagina del Ministero francese dell’Europa e degli Affari esteri sulla migrazione: https://www.diplomatie.gouv.fr/en/country-files/africa/migration/

Sito dell’Ufficio federale per la Migrazione e i Rifugiati in Germania:  https://www.bamf.de/EN/Startseite/startseite_node.html

Governance migratoria in Francia, sito dell’UE: https://ec.europa.eu/migrant-integration/country-governance/la-gouvernance-de-lintegration-des-migrants-en-france_en

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