Follow the Money – Capitolo IV: lo European Peace Facility, uno strumento completamente nuovo

Oggi analizziamo un altro fondo compreso nel Quadro Finanziario Pluriennale (QFP), oggetto di non poche critiche. Stiamo Parlando delloEuropean Peace Facility (EPF), istituito dal Consiglio dell’Unione Europea il 22 Marzo del 2021.

La peculiarità di questo fondo è che è un fondo off-budget ossia, come spiegheremo meglio in seguito, al di fuori del Bilancio dell’Unione Europea.

Nei precedenti articoli di Follow the Money vi abbiamo già parlato del NDCI Europa Globale, il quale è inserito all’interno del bilancio dell’Unione Europea.

Questa caratteristica, in primo luogo, implica che le risorse monetarie provengano da tutti i Paesi membri dell’Unione – attraverso una percentuale del reddito degli stessi – e da altri importi, quali dazi doganali ed imposte.

In secondo luogo, far parte del bilancio, assicura che il fondo sia soggetto al controllo da parte del Parlamento Europeo.

Al contrario, il bacino finanziario che confluisce all’interno dello Strumento di Pace Europea o European Peace Facility è del tutto esterno all’Unione, sfuggendo così al controllo democratico parlamentare.

Questi due fondi (NDICI ed European Peace Facility) andranno a finanziare l’azione esterna dell’Unione, finanziandone le politiche ed i progetti per tutta la durata dell’attuale Quadro Finanziario Pluriennale – ed è per questo motivo che è fondamentale conoscerne la struttura ed il contenuto.

Struttura ed innovazione del fondo

Lo European Peace Facility è strutturato su due pilastri (che si riflettono in due differenti voci di spesa): il Pilastro “Operazioni” ed il Pilastro “Misure di Assistenza” ed ha un budget  pari ad € 7.979.000.000 per il periodo relativo al QPF 2021/2027.

Gli obiettivi del fondo sono quelli di: prevenire i conflitti, costruire la pace e rafforzare la sicurezza internazionale.

Nello specifico, il primo pilastro – denominato anche PSDC – finanzia operazioni militari che si occupano di sicurezza interna, favorendo l’adozione di politiche di sicurezza e di difesa  comune. Questa voce di spesa viene finanziata da tutti gli Stati membri dell’Unione attraverso una divisione dei costi delle operazioni.

Il secondo pilastro si occupa di operazioni di sicurezza in ambito militare riferito non al contesto di sicurezza comune ma alla sicurezza esterna, quindi relativa ai Paesi terzi extra-UE. I costi di queste operazioni sono interamente a carico dei Paesi membri e di quelli non-UE direttamente coinvolti nell’operazione stessa.  

Lo strumento ha sostituito due suoi predecessori, l’ATHENA Mechanism (Meccansmo Athena) e l’African Peace Facility (Strumento di Pace Africana), i quali si occupavano entrambi di azioni di pace. Il primo, similmente all’attuale EPF, aveva un raggio d’azione globale mentre il secondo si concentrava esclusivamente sui Paesi dell’ Africa.

La novità per la quale l’EPF si differenzia da qualsiasi altro strumento implementato prima d’ora è la possibilità di poter fornire armi letali e munizioni a Paesi terzi.

Questa inedita peculiarità è resa possibile proprio dalla sua natura “extra budgetaria”, in quanto il bilancio europeo non può allocare risorse per la sovvenzione di armi letali e, in generale, per approvvigionamenti che abbiano uno scopo militare.

Anche la portata innovativa in termini politici dello European Peace Facility non è trascurabile.  

Secondo il servizio di ricerca del Parlamento Europeo, la creazione dell’EPF corrisponde alla volontà politica della Commissione Europea di posizionare l’Unione nel gruppo dei fornitori globali di sicurezza, in modo tale che essa possa ricoprire un ruolo più rilevante all’interno dello scacchiere geopolitico mondiale.

Come qualsiasi altro fondo che sia fuori dal bilancio europeo, nel caso dello European Peace Facility non vengono create delle vere e proprie partnership con i Paesi nei quali lo strumento dovrà agire, bensì le logiche di intervento seguono le priorità politiche e strategiche dell’Unione Europea, con l’obiettivo di “rafforzare la governance globale”.

Motivazioni del cambiamento ed il caso studio del Sahel

Come abbiamo visto, lo European Peace Facility segna un punto di distacco con il posizionamento storico-politico dell’Unione Europea, specialmente in ambito di cooperazione.

Fino all’introduzione di questo strumento infatti, l’Unione aveva basato la sua politica sul principio del Normative Power of Europe ovvero sul “potere normativo dell’Unione Europea”. Questo tipo di approccio vedeva come indirizzo politico dell’UE quello di diffondere le norme ed i valori europei attraverso le relazioni internazionali.

Una delle cause che ha probabilmente portato a questo cambio di rotta può essere individuata nella poca incisività ed effettività dei programmi finanziati con questo approccio nei Paesi partner dell’Unione Europea.

Il Sahel per esempio, a prescindere dagli sforozi in termini di aiuto allo sviluppo, non ha visto negli ultimi decenni significativi miglioramenti in termini di sicurezza per quanto riguarda sia il conflitto in Mali che la lotta al terrorismo islamico. Su questo terreno la controparte dell’Unione Europea viene rappresentata da Paesi quali la Russia e la Turchia, che hanno un florido commercio di armi nella zona.

In contesti simili è plausibile che gli stessi governi locali abbiano chiesto all’UE un aiuto in termini di fornitura di armamenti per far fronte all’aumentare dell’incertezza e dell’instabilità nel proprio territorio.

Come sottolinea il servizio di ricerca del Parlamento Europeo già in precedenza citato, le varie missioni di addestramento delle milizie nei Paesi dell’Africa, ed in particolare nella regione del Sahel, sono state ostacolate dalla mancanza di equipaggiamento militare, che non ha reso operative le milizie addestrate dall’Unione. Questo ha ovviamente creato un “vuoto” che è stato colmato da altri Paesi.

Lo European Peace Facility potrebbe rappresentare per l’Unione Europea lo strumento atto a colmare quel vuoto ed allo stesso tempo posizionarsi nel panorama globale di sicurezza.

Criticità European Peace Facility

Il sopracitato Sahel risulta esemplificativo anche nel mostrare lemaggiori problematicità dell’EPF.

Sempre più studiosi e giornalisti infatti, hanno iniziato ad analizzare il ruolo dell’Unione Europea in Sahel ed in particolare le missioni di peacekeeping ed addestramento nella zona. Da queste analisi approfondite è emerso che vi siano dei livelli endemici di corruzione i quali hanno fatto sì che approvigionamenti non militari, come ad esempio il carburante – soggetti a molti meno controlli rispetto ad armi e munizioni – vengano intercettati dal mercato nero o distruibuiti arbitrariamente nei diversi ranghi degli eserciti del Mali e del Niger.

Alla luce di questi dati, le probabilità che futuri rifornimenti di armi possano essere intercettati da organizzazioni terze all’interno della fascia del Sahel sono da considerare con attenzione.

Lo stesso Ambasciatore Martin Kimani, rappresentante permanente del Kenya presso le Nazioni Unite, sottolinea l’importanza del ruolo delle munizioni nel contesto di sicurezza africano e le difficoltà riscontrate nel rintracciare tali forniture.

L’Unione Europea nel 2021 ha sviluppato l’Integrated Methodological Framework– il cui documento ufficiale non è ancora stato reso pubblico a distanza di due anni. Nel concreto, lo stesso sarebbe il metodo alla base del  funzionamento e dell’operatività dello European Peace Facility.

Nonostante questo metodo sembrerebbe essere volto all’analisi ed al monitoraggio del processo di messa in sicurezza del rifornimento di armi ed equipaggiamenti militari, potrebbe non essere sufficiente in zone del mondo come il Sahel proprio per i rischi legati alla corruzione endemica.

Molto più proficuo ed utile in un’ottica a lungo termine sarebbe stato per l’Unione Europea sfruttare il proprio ruolo di partner storico dei Paesi africani, per promuovere politiche di disarmo sostanziale sia interno che esterno degli stessi. In questo modo infatti, si sarebbe concretamente andati a contrastare e – in alcuni casi – prevenire, l’insorgenza di uno dei push factors più decisivi nelle migrazioni forzate: le violenze e le guerre civili.

Probabilmente, le tempistiche del conflitto in Ucraina hanno polarizzato la discussione sul tema, capovolgendo le priorità dell’UE.

Si sta ricorrendo ai fondi dell’EPF, infatti, anche nel conflitto ucraino per poter finanziare il rifornimento di munizioni al governo di Kiev.

Sebbene lo European Peace Facility sia nei suoi primi anni di implementazione, come abbiamo visto, gli aspetti critici emersi hanno un peso rilevante. Noi di Large Movements APS continueremo a monitorare l’uso di questo fondo, analizzandone i risvolti in termini di sicurezza interna ed esterna che lo stesso comporterà.

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Ignazio Bisicchia

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