Le corti europee ed i casi pratici circa questioni migratorie: punti di vista normativi comparati – Il principio di non refoulement nel rapporto con il Regolamento di Dublino II nel caso M.S.S. c. Belgio e Grecia

Apriamo oggi la terza ed ultima sotto rubrica del nostro viaggio nelle istituzioni in Europa, le corti europee ed i casi pratici circa questioni migratorie: punti di vista normativi comparati. Gli articoli che ne saranno parte avranno l’obiettivo di presentare ai nostri lettori l’applicazione della politica migratoria, attraverso l’analisi di sentenze della Corte dei Diritti dell’Uomo e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, circa i vari aspetti legati al fenomeno migratorio e la frequente discriminazione dei migranti.
 Iniziamo oggi con la spiegazione di una sentenza della Corte dei Diritti dell’Uomo a Strasburgo circa il principio di non respingimento (non refoulement), un corollario imprescindibile del diritto di asilo.

Secondo tale principio, gli Stati devono assicurarsi che la procedura d’asilo del Paese intermedio offra garanzie sufficienti affinché il richiedente asilo non venga allontanato, direttamente o indirettamente, verso il suo Paese d’origine in cui rischierebbe di subire tortura o pene e trattamenti inumani e degradanti.

Tale principio si traduce da un lato, nell’obbligo degli Stati di verificare la presenza dei requisiti necessari ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato; dall’altro, di non respingere i richiedenti asilo nei rispettivi Paesi di origine nei quali rischierebbero di subire gravi violazioni dei diritti umani.

Quadro normativo

Il principio di non refoulement è previsto dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato, secondo il quale “nessuno Stato contraente espellerà̀ o respingerà̀, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”.

Nell’ambito delle Nazioni Unite è disciplinato dall’articolo 3 della Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti: “nessuno Stato parte espelle, respinge né estrada una persona verso un altro Stato qualora vi siano serie ragioni di credere che in tale Stato essa rischia di essere sottoposta a tortura”.

A livello regionale, inoltre, è previsto dall’articolo 4 del Protocollo addizionale n. 4 alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali del 1950, secondo cui “nessuno Stato Contraente espellerà̀ o respingerà̀, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”.

Il principio di non refoulement è ad oggi considerato un principio di diritto internazionale consuetudinario e pertanto è vincolante anche per quegli Stati che non sono parte della Convenzione di Ginevra.

Il caso M.S.S. v Grecia e Belgio

Nel caso M.S.S. v. Grecia e Belgio, la Corte di Strasburgo ha esteso l’applicazione del principio di non refoulement oltre il concetto di Paese d’origine, pronunciandosi, per la prima volta, sull’applicazione del Regolamento “Dublino II”.

Il fatto da cui trae origine il caso riguarda M.S.S., un richiedente asilo fuggito da Kabul (Afghanistan) per raggiungere l’Europa. M.S.S., passando attraverso la Grecia, arriva in Belgio nel 2008 dove presenta la sua domanda di asilo. Tuttavia, secondo il Regolamento di Dublino II, lo Stato competente a ricevere la domanda avrebbe dovuto essere la Grecia in quanto Paese di primo ingresso. Nel 2009, le autorità belghe ordinano il trasferimento di M.S.S. in Grecia dove viene detenuto presso un centro per richiedenti asilo e successivamente al suo rilascio è costretto a vivere per strada, completamente privo di assistenza da parte delle autorità locali.

Così, nel 2009, M.S.S. ricorre alla Corte di Strasburgo lamentando la presunta violazione da parte sia della Grecia che del Belgio degli articoli 2 (diritto alla vita), 3 (divieto di tortura o pene e trattamenti inumani e degradanti) e 13 (diritto a un ricorso effettivo a tutela dei propri diritti) della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).

La Grecia in giudizio

Per la Grecia, la Corte ha innanzitutto riscontrato la violazione dell’articolo 3 per le condizioni di detenzione, da un lato, basandosi sulle sue precedenti decisioni nelle quali aveva già condannato il Paese per violazione del principio di non respingimento (S.D. v. Grecia, n. 53541/07; Tabesh v. Grecia, n. 8256/07; A.A. v. Grecia, n. 12186/08); dall’altro, sui vari rapporti di ONG e organismi internazionali come, ad esempio, UNHCR, CPT, Amnesty International e Medici Senza Frontiere riscontrando coerenza ed omogeneità con il racconto del ricorrente sul tema. Si fa poi riferimento al sovraffollamento, alle condizioni igieniche insufficienti, alla sporcizia, alla mancanza di spazio e alle brutalità ed insulti perpetrati dalla polizia a danno dei soggetti ristretti.

Tuttavia la Grecia aveva affermato che non poteva parlarsi di trattamento inumano e degradante vista la brevità della detenzione; la Corte, però, non ha accolto tale argomento evidenziando come vivere tale condizione di disagio, a prescindere dalla sua durata, non faccia altro che acuire ed aggravare ulteriormente la condizione di particolare vulnerabilità già sofferta da richiedente asilo.

Con riferimento alle condizioni generali di detenzione, invece, la Corte ha ribadito che l’articolo 3 impone che lo Stato garantisca che le condizioni di detenzione siano compatibili con il rispetto della dignità umana e che le modalità e l’esecuzione della misura non sottopongano i detenuti ad un disagio od una difficoltà oltre la soglia di quello inevitabilmente derivante dalla condizione di detenzione stessa. E’ dovere degli Stati, inoltre, garantire adeguati livelli di salute e benessere agli stessi detenuti (Kudla v. Poland, n. 30210/96).

Per di più, la Corte ha osservato che, pur essendo evidente che gli Stati situati sulle frontiere esterne dell’Unione Europea siano affannati dai continui trasferimenti dei richiedenti asilo in applicazione del Regolamento di Dublino, l’articolo 3 ha carattere assoluto e, conseguentemente, uno Stato non può esimersi dagli obblighi derivanti da tale disposizione.

In secondo luogo, la Corte ha riscontrato la violazione dell’articolo 13, con riferimento alle carenze nella procedura di asilo e quindi affermando che lo Stato ospitante deve valutare se esistano garanzie effettive per proteggere il ricorrente da un ritorno verso il suo Paese di origine.

Rispetto alla situazione particolare del ricorrente M.S.S., a preoccupare la Corte è stato il concreto rischio di respingimento prima della decisione sul merito del suo caso; tra le altre cose, tale preoccupazione deriva anche dalla lunga durata del procedimento dinanzi alla Corte amministrativa suprema greca. A tal proposito, la Corte ha sottolineato l’importanza di un’azione rapida nei casi di maltrattamento da parte di agenti statali, soprattutto vista la situazione precaria che viveva il ricorrente. Infatti, lo stesso aveva raccontato di essere sfuggito a ben due tentativi di deportazione in Turchia da parte della polizia greca. Inoltre, la Corte ha ribadito come i rimpatri forzati ad opera della Grecia verso Paesi ad alto rischio siano stati ordinariamente denunciati dai terzi intervenuti nel giudizio.

Il Belgio in giudizio

Per quanto riguarda il Belgio, la Corte ha rilevato la violazione dell’articolo 3 della CEDU per aver esposto il ricorrente ai rischi sopra descritti derivanti dalle carenze delle procedure di asilo in Grecia.  Infatti, rispetto all’applicazione del Regolamento di Dublino, la Corte ha affermato che gli Stati devono assicurarsi che la procedura d’asilo del Paese intermedio (nel caso di specie, la Grecia) offra garanzie sufficienti per evitare che il richiedente asilo venga allontanato, direttamente o indirettamente, verso il suo Paese d’origine senza alcuna valutazione dei possibili rischi.

Questo principio è stato sancito dalla Corte partendo dal presupposto che il Regolamento di Dublino è uno strumento utilizzato dagli Stati membri dell’Unione Europea per favorire il rispetto dei diritti umani dei cittadini dei Paesi terzi. Per questo motivo, se i Paesi dell’UE fossero esonerati da ogni obbligo di rispetto della CEDU – e quindi da ogni responsabilità in caso di violazione dei principi in essa sanciti – sarebbe incompatibile proprio con lo scopo e l’oggetto sia della Convenzione che del Regolamento stesso (ad esempio Waite & Kennedy v. Germania n. 26083/94).

Inoltre, la Corte ha fatto riferimento all’articolo 3, paragrafo 2, del Regolamento di Dublino che consente agli Stati membri di derogare alla regola generale dell’articolo 3, paragrafo 1, e di esaminare autonomamente la domanda di asilo. Questo paragrafo è anche conosciuto come clausola di sovranità discrezionale e sancisce che: “In deroga al paragrafo 1, ciascuno Stato membro può̀ esaminare una domanda d’asilo presentata da un cittadino di un Paese terzo, anche se tale esame non gli compete in base ai criteri stabiliti nel presente Regolamento. In tale ipotesi, detto Stato membro diventa lo Stato membro competente ai sensi del presente Regolamento e assume gli obblighi connessi a tale competenza. Eventualmente, esso ne informa lo Stato membro anteriormente competente, lo Stato membro che ha in corso la procedura volta a determinare lo Stato membro competente o quello al quale è stato chiesto di prendere o riprendere in carico il richiedente asilo”.

Ne deriva che il Belgio avrebbe potuto e dovuto intraprendere questa azione ed astenersi dal trasferire il richiedente in Grecia se avesse ritenuto che la Grecia non stesse adempiendo ai suoi obblighi CEDU.

Una sentenza innovativa

La Grande Camera della Corte Edu nel caso M.S.S c. Belgio e Grecia si è pronunciata, per la prima volta, sull’applicazione del Regolamento di Dublino II nel suo rapporto con il principio di non refoulement e, più nello specifico, sulla determinazione del Paese competente a decidere sulla domanda dei richiedenti asilo.

Secondo la Corte, infatti, anche quando in attuazione del Regolamento di Dublino II la competenza è del Paese di prima ingresso (nel caso di specie, la Grecia) gli Stati di secondo ingresso (nel caso di specie, il Belgio) devono assicurarsi che anche la procedura d’asilo del Paese di primo ingresso offra garanzie adeguate e sufficienti affinché, in primo luogo, il richiedente asilo non rischi di essere allontanato verso il suo Paese d’origine in cui potrebbe subire tortura o pene e trattamenti inumani e degradanti; in secondo luogo, affinché il richiedente asilo non rischi di subire tortura o pene e trattamenti inumani e degradanti anche nel Paese di primo ingresso.

Tra l’altro, la Corte osserva che la facoltà di esaminare una domanda di asilo da parte di uno Stato in deroga ai criteri stabiliti dal Regolamento di Dublino II è contemplata anche all’interno del Regolamento stesso (cd. clausola di sovranità discrezionale).

In conclusione, i giudici di Strasburgo hanno ritenuto che le autorità belghe sapevano o avrebbero dovuto sapere che il ricorrente non aveva alcuna garanzia che le autorità greche avrebbero esaminato seriamente la sua domanda di asilo e che, date le prove presentate sulla situazione in Grecia, non potevano presumere che il richiedente sarebbe stato trattato in conformità con gli obblighi derivanti dalla CEDU, ma avrebbero dovuto preventivamente verificare come le autorità greche applicassero in pratica la loro legislazione sull’asilo.

Se ti è piaciuto l’articolo, CondividiCi!

Anna Maratea

Conoscere è resistere!

Condividi questo articolo e aiutaci a diffondere i nostri contenuti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Puoi continuare ad approfondire attraverso i nostri articoli:

Il Global Gateway.

Nell’ambito della rubrica alla Scoperta delle Istituzioni in Europa, vi abbiamo presentato il Global Gateway, attraverso tre puntate: Il Global Gateway, un grande gigante inattivo.

Leggi Tutto »