
Era evidente che, dopo l’abbandono dell’Afghanistan da parte degli Stati Uniti e delle potenze occidentali ed il ritorno dei Talebani, a pagare il prezzo più caro sarebbero state le donne. Era prevedibile, e infatti già dal giorno successivo alla presa del palazzo presidenziale, i Talebani hanno annunciato nuove norme, tra cui la separazione tra i generi nelle università e l’introduzione di un nuovo codice di abbigliamento per le donne. Da allora la regolamentazione del corpo e dei diritti delle afghane si è fatta sempre più opprimente, fino al divieto totale di frequentare scuole ed università, arrivato lo scorso dicembre.
La Comunità Afghana scende nelle piazze d’Italia
Lo scorso 28 gennaio la Comunità Afghana in Italia, l’associazione UNIRE ed il Movimento PTM Italia, insieme ad afghane ed afghani provenienti da tutta Italia, si sono riuniti in Piazza Santi Apostoli a Roma per far sentire la loro voce. La manifestazione è stata organizzata dai membri della diaspora che vivono in Italia, considerato un Paese sicuro, e che pertanto ritengono di avere la responsabilità di parlare di quello che sta succedendo, di sensibilizzare, di informare l’opinione pubblica italiana e del loro Paese di origine. La loro intenzione è di mettere pressione ai Talebani con l’appoggio della comunità internazionale, per poter garantire nuovamente i diritti ormai privati alle donne e alle ragazze in Afghanistan.


Con questo proposito si sono alternati gli interventi del vicepresidente della Afghan Community in Italia, il sig. Mohammad Idrees Jamali, dottor Syed Hasnain, presidente dell’Associazione Unione Nazionale Italiana per i Rifugiati ed Esuli – UNIRE, i rappresentanti del Pashtun Tahafuz Movement Italia, diverse attiviste afghane quali Kobra Rahmati e Morsal Noori, l’attivista per i diritti delle donne e delle ragazze Dr. Rabee Alizadeh, il funzionario dell’Ambasciata afghana in Italia Sig. Ahmed Khalid Akbar Sahib, e molti altri esponenti della diaspora. Vi sono stati anche interventi da parte di italiani ed italiane, tra queste ricordiamo la giornalista Carla Musa che per decenni ha lavorato in Afghanistan e vissuto al fianco delle donne che oggi, dopo decenni, si vedono negare le libertà ed i diritti che le spettano.

La giornata è stata inaugurata dal moderatore, il vicepresidente dell’Associazione nazionale Comunità afghana, sig. Mohammad Idrees Jamali, che ci ha riportato all’agosto del 2021 quando, alla caduta dell’ex governo Ashr Al-afghani, l’estrema destra è tornata al potere in Afghanistan dopo vent’anni di occupazione militare delle potenze occidentali.
Trattandosi di un gruppo terroristico e integralista islamico, vuole controllare ogni aspetto della vita della popolazione femminile. Per questo, dal loro ritorno al potere, i Talebani stanno rapidamente ristabilendo le norme che per decenni hanno leso le libertà fondamentali di donne, ragazze e bambine afghane. In primis, vietando l’accesso all’istruzione.


Il successivo intervento del dottor Syed Hasnain, presidente dell’Associazione Unione Nazionale Italiana per i Rifugiati ed Esuli, ci propone un’analisi socio-politica della situazione di privazione dei diritti fondamentali alle donne afghane. Riportiamo le sue parole:
“Dell’Afghanistan non si parla più. Mi riferisco ai giornalisti in diverse parti del mondo. Il 15 agosto 2021 il nostro Paese è caduto sotto un regime delle tenebre. Quel giorno noi abbiamo detto che i Talebani non sono cambiati: vogliono riportare l’Afghanistan nel Medioevo, se non prima ancora. Si accaniscono contro le donne perché sanno che le donne afghane hanno coraggio di difendere i propri diritti. Il primo nemico che hanno considerato sono state le donne e le hanno subito attaccate, rimuovendo le immagini delle donne dagli spazi pubblici. Il volto della donna fa paura a questo gruppo integralista. Le donne afghane non possono neanche andare a scuola a imparare a leggere e a scrivere, non possono uscire di casa da sole. Qua in Italia e negli altri Paesi europei le donne possono accedere a tutti gli spazi pubblici, ed è anche per questo che le afghane scappano e arrivano qua. Ma in una società dove le donne non avranno la possibilità di andare a scuola, di lavorare, di dare il proprio contributo nella società, le conseguenze le subiranno anche altre società e altri Paesi. Per questo noi siamo qua, per alzare la nostra voce, per combattere e portare il messaggio delle donne che sono rimaste in Afghanistan.”

L’evento prosegue con gli interventi delle donne. Purtroppo, la barriera linguistica ci impedisce di riportare le parole esatte delle afghane che hanno parlato sul palcoscenico di piazza Santi Apostoli. Possiamo però riportare i concetti espressi dalle moderatrici che hanno parlato in italiano o in inglese.
Mihaela Mitrut dell’associazione Mondo Blu, tra le altre, condanna l’oppressione femminile in Afghanistan affermando che “non possiamo più pensare che nel che nel 2023 una donna non abbia diritto all’istruzione, che una donna non possa andare a scuola e non abbia il diritto di leggere e scrivere. Non possiamo più permettere che una donna debba ancora stare con il velo, che non abbia il diritto di farsi vedere e di farsi conoscere, che non abbia il diritto di esprimere quello che sente e quello che vuole trasmettere.”

Allo stesso modo Maria Clara Mussa, giornalista italiana che per decenni ha vissuto in Afghanistan, prende la parola in difesa di quelle che definisce le sue sorelle afghane:
“In questa manifestazione abbiamo seguito quello che hanno esposto molte delle donne afghane che si trovano a vivere in Italia. Le consideriamo e si considerano fortunate, ringraziano l’Italia perché le ospita, ma ovviamente hanno il cuore infranto perché pensano alle sorelle che sono rimaste nel loro Paese che attualmente è un paese disastrato. Sta soffrendo la più grave crisi umanitaria che ci sia sulla terra grazie all’abbandono che è stato fatto da parte della coalizione internazionale nell’agosto 2021, che è stato anche il mese in cui i talebani hanno preso possesso del governo afghano. Il terrore che abbiamo noi è che l’Afghanistan diventi il paradiso del terrorismo. In questo momento pensiamo alle donne, alle ragazze che non possono andare a scuola, che non possono lavorare, che non possono vivere, che non possono uscire senza un uomo che le accompagni, e dobbiamo lottare per loro. Noi dobbiamo fare in modo che l’opinione pubblica non si dimentichi delle donne che in Afghanistan stanno soffrendo.”

Morsal Noori, attivista afghana, interviene puntando il dito contro i Talebani e la loro ostinazione contro la libertà delle donne, nonché contro l’abbandono occidentale in Afghanistan, che ha causato il declino degli eventi:
“Una grande percentuale della popolazione del Paese è costituita da donne, che non godono dei diritti fondamentali. Siamo qui per sostenere l’importanza dei diritti umani, come l’emancipazione femminile, il miglioramento della condizione delle donne e l’uguaglianza tra uomini e donne. Questi sono tra i diritti più fondamentali nell’Unione Europea, nelle Nazioni Unite e in tutte le 17 agenzie dell’ONU: democrazia, diritti umani, uguaglianza tra uomini e donne, emancipazione femminile. Allora perché i talibani non considerano questi diritti fondamentali e privano le donne afghane di questi diritti? Siamo qui per far sentire la voce delle donne afghane! I talebani devono permettere loro di andare a scuola, di lavorare, di andare all’università e di avere questi importanti diritti. Vogliamo che le Nazioni Unite, l’Unione Europea e tutti i Paesi che hanno un impatto importante sulla situazione politica dell’Afghanistan collaborino, considerino questo problema importante e trovino una soluzione.”
Le attiviste e gli attivisti presenti hanno definito le sentenze dei talebani disumane ed hanno chiesto un’azione immediata ai policy maker di Italia e d’Europa. Le legittime richieste sono state avanzate in coro dalle minoranze presenti (Pashtun, Tagik, Hazara ed Uzbeki), dai membri della diaspora donne e uomini, senza distinzioni.
Si richiede, in particolare, di attivare via legali di migrazione per le donne, di attivare borse di studio e di accogliere coloro che vogliono portare avanti i loro percorsi di studio. Allo stesso tempo, si richiede un aiuto a chi rimane in Afghanistan, perché, dopo 20 anni di presenza nel Paese, l’Occidente non può scordarsi di loro soprattutto oggi, davanti alle violazioni dei diritti fondamentali delle minoranze e delle donne.
“Noi membri della diaspora in Italia vogliamo che il nostro messaggio venga trasmesso e che in Afghanistan si concedano alle donne i diritti di andare a scuola, di avere accesso ai diritti fondamentali, di uscire di casa da sole, di camminare e viaggiare. Siamo un Paese dimenticato, anche se la situazione è molto recente. Siamo fuori dai media, nessuno parla di noi. Intanto le donne non possono andare a lavoro, e 20 milioni di afghani hanno bisogno di aiuto umanitario. Il diritto di andare a scuola è fondamentale anche nell’Islam più radicale, per cui dobbiamo continuare a parlare della situazione in Afghanistan.”

I provvedimenti dei Talebani ed il loro impatto sulla popolazione femminile
Da quando i Talebani sono stati rimossi dal potere nel 2001, sono stati compiuti enormi progressi nel migliorare i tassi di istruzione e di alfabetizzazione in Afghanistan, soprattutto per le ragazze e le donne. Secondo un rapporto dell’UNESCO, il numero di bambine che frequentavano la scuola primaria è passato da quasi zero a 2,5 milioni nei 17 anni successivi al controllo talebano. 10 milioni di studenti sono stati iscritti a scuola nel 2018, rispetto al milione del 2001. Il rapporto afferma inoltre che il tasso di alfabetizzazione femminile è quasi raddoppiato in un decennio, raggiungendo il 30%.
Tutto è cambiato, nuovamente, nel 2021. I talebani sono tornati al potere dopo che i soldati statunitensi hanno lasciato il Paese. Le donne sapevano che tutte le conquiste ottenute sarebbero state cancellate, dunque, chi ci è riuscito, è fuggito dal Paese. I fondamentalisti religiosi hanno cercato di rassicurare la comunità internazionale riguardo la loro intenzione di rispettare, per quanto possibile, i diritti umani, ma i fatti hanno dimostrato il contrario.
A seguire, elenchiamo le nuove norme messe in atto dal gruppo di estrema destra contro la popolazione femminile afghana:
- Il nuovo governo talebano sostituisce il Ministero degli Affari Femminili con il Ministero del Vizio e della Virtù. Mentre le ex dipendenti venivano chiuse fuori dal Ministero, l’insegna dell’edificio veniva sostituita con una nuova, che recita “Ministero della preghiera, della promozione della virtù e della prevenzione del vizio”. Le impiegate hanno dichiarato di aver cercato di recarsi al lavoro per diverse settimane e di aver ricevuto l’ordine di tornare a casa. Storicamente, il ministero è noto per il ferreo controllo del comportamento e dell’abbigliamento delle donne mantenuto tramite gli abusi della polizia religiosa. Questi abusi, portati avanti in nome della più dura interpretazione della Sharia, hanno significato violenza contro le afghane per infrazioni al codice di abbigliamento o all’obbligo di uscire pubblicamente solamente se accompagnate da un tutore. Per valori e modus operandi, il Ministero afghano ricorda la Polizia morale iraniana, la cui violenza è stata la principale causa dello scoppio in Iran della rivoluzione guidata dalle donne.
- Il neoeletto ministro dell’Istruzione superiore Abdul Baqi Haqqani annuncia nuove norme di regolamentazione dell’abbigliamento femminile. Annuncia, inoltre, che le studentesse verranno separate dagli studenti di sesso maschile dentro gli atenei e che le materie insegnate alle donne saranno riviste per “creare un curriculum ragionevole e islamico che sia in linea con i nostri valori islamici, nazionali e storici”.
- A dicembre del 2021, un nuovo decreto dei talebani stabilisce che le donne afghane non possono allontanarsi dall’indirizzo di residenza per oltre 75 chilometri senza essere accompagnate da un familiare stretto di sesso maschile, per fermare i tentativi di fuga.
- Dal loro ritorno al potere, i talebani non hanno riaperto le università fino a febbraio del 2022, quando gli studenti e le studentesse sono tornati in aula. Stavolta, però, la segregazione tra i generi ha costretto le ragazze a spostarsi in aule private ed esclusive, spesso non disponibili nelle infrastrutture pubbliche.
- Per quanto riguarda l’apertura delle scuole superiori, possiamo dire che per le ragazze non è mai avvenuta dalla caduta di Kabul. Sotto le crescenti pressioni internazionali, i Talebani avevano inizialmente dichiarato che le scuole sarebbero state aperte per tutti gli studenti – comprese le ragazze – dopo il capodanno afghano del 2022, che si celebra il 21 marzo. Questo a condizione che i ragazzi e le ragazze fossero separati in scuole diverse o con orari diversi. Il 23 marzo, tuttavia, alle ragazze delle scuole medie e superiori è arrivato il divieto di rientro in aula finché non sarà progettata un’uniforme scolastica adeguata alle norme di abbigliamento femminile.
- Il 20 dicembre dello stesso anno, un portavoce del Ministero dell’Istruzione superiore ha annunciato l’immediata e definitiva sospensione dell’istruzione universitaria per le cittadine afghane.
In poco più di un anno, il ritorno dei Talebani ha significato per le donne la perdita dei diritti per i quali avevano combattuto instancabilmente negli ultimi due decenni. Ogni libertà è stata progressivamente repressa. Le donne sono sparite da radio e tv, il burqa è tornato obbligatorio, sono stati censurati i manichini femminili delle boutique alla moda (che sono state chiuse). Ora le donne non possono più lavorare nella maggior parte dei settori (incluse le ONG), non possono più accedere ai parchi pubblici e possono uscire di casa solo a volto coperto ed accompagnate da un tutore maschile.
La fine della dignità femminile in Afghanistan è avvenuta per mano dei Talebani già dal 1996 al 2001, quando hanno vietato il diritto allo studio per donne e ragazze. Quello a cui stiamo assistendo nient’altro è che una ripetizione della storia, e la responsabilità stavolta è tutta nelle mani degli Stati Uniti e delle potenze occidentali. Siamo noi la causa di questo disastro umanitario, e la stampa ne è complice. Saranno i sensi di colpa a far tacere giornali e telenotiziari su ciò che sta succedendo alle donne afghane? Probabilmente sì.
Ciononostante, le afghane non si sono arrese. Molte coraggiose donne scendono in piazza ancora oggi e manifestano il loro dissenso rischiando la vita, mentre altre stanno cercando metodi alternativi di studio online. La situazione è tutt’altro che rosea, ma associazioni come RAWA e Women for Afghan Women continuano la lotta per il riconoscimento dei diritti umani e della dignità delle donne afghane.
Noi di Large Movements ci uniamo a loro e condanniamo la negazione della dignità umana che i talebani stanno portando avanti nei confronti delle nostre sorelle afghane. Non lasceremo nel silenzio l’inesorabile e definitiva decadenza delle libertà femminili in Afghanistan. Continueremo a parlare di ciò che sta succedendo, continueremo a supportare la comunità afghana nella loro opposizione a ciò che potrebbe diventare il “paradiso del terrorismo”, continueremo a denunciare gli abusi contro le ragazze e contro i diritti umani. Questo finché non ci sarà giustizia e rispetto e le donne potranno indossare ciò che preferiscono, potranno tornare nelle scuole, nelle università, nelle piazze, potranno viaggiare ed essere finalmente libere ed emancipate.
“Con le pistole puoi uccidere i terroristi, con l’educazione puoi uccidere il terrorismo.” – Malala Yousafzai
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- Elena Di Diohttps://www.normativa.largemovements.it/author/elena-didio/
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