La condanna alla violenza contro le donne entra ufficialmente nel dibattito internazionale con la Risoluzione 54/134 (link), adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1999. Il testo definisce questo tipo di violenza “qualsiasi atto di violenza basato sul genere della vittima, che possa essere fisico, sessuale o psicologico. Questo include la coercizione e la violazione delle libertà della donna, tanto nella sfera pubblica quanto in quella privata”(link).
Il 25 novembre, quarant’anni prima, tre attiviste politiche conosciute come le Sorelle Mirabal furono assassinate per ordine della dittatura di Rafael Trujillo, nella Repubblica Domenicana. L’evento viene ricordato ogni anno durante la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, e nelle 16 giornate di attivismo che ne seguono. Le iniziative promosse vogliono puntare il riflettore su questo fenomeno mondiale per sensibilizzare le popolazioni, oltre a condannarne la pratica in tutte le sue forme.
A partire dalla sua fondazione, Large Movements professa con forza il suo ruolo attivo nella lotta alla violenza sulle donne. Ne abbiamo parlato in relazione al manifesto internazionale #SalviamoleDonneAfghane, lanciato il 18 agosto 2021 dal Dipartimento #DonneUnite e l’Osservatorio anti violenza del Movimento Uniti per Unire (UxU) in collaborazione con altre associazioni affini, per il rispetto del ruolo sociale e professionale delle donne minacciato dalla repressione violenta e mirata scatenata dai talebani una volta tornati al potere (https://www.normativa.largemovements.it/donne-afghane/), e lo dimostra la nostra adesione convinta alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, detta comunemente Convenzione di Istanbul (https://www.normativa.largemovements.it/greboval-convenzione-istanbul-donne-migranti/).
La violenza sulle donne assume molte forme, soprattutto se si considerano i fenomeni migratori. È ben noto come la violenza domestica o l’utilizzo della violenza sessuale nei conflitti armati (https://www.normativa.largemovements.it/giornata-internazionale-violenza-sessuale-conflitti-2021/) costituiscano spesso le ragioni per cui una donna, sola o con la sua famiglia, decida lasciare il proprio paese d’origine e migrare altrove. Tuttavia, è proprio durante questi viaggi, in cui la vulnerabilità dei soggetti migranti aumenta in maniera esponenziale, che l’oppressione di genere si manifesta nelle sue forme più impietose – prima fra tutte, la violenza sessuale. Il corpo di una donna diventa esso stesso un campo di battaglia, un bottino di guerra o una merce di scambio. L’atto di coercizione sessuale deumanizza la migrante e non la ferisce meramente a livello fisico, ma infligge delle sofferenze mentali a una psiche già compromessa dal contesto emergenziale circostante. Nel 2016, la ricercatrice Silvia Sansonetti ricordava che “le rifugiate sono le più colpite dalla violenza contro le donne rispetto a qualsiasi altra popolazione femminile nel mondo” (https://www.unhcr.org/it/risorse/carta-di-roma/fact-checking/donne-rifugiate-la-violenza-molte-facce/).
In un rapporto pubblicato nel 2020 dal Mixed Migration Center (MMC) in collaborazione con l’UNHCR (https://mixedmigration.org/resource/on-this-journey-no-one-cares-if-you-live-or-die/), 1.634 intervistati hanno riferito di aver subito o assistito a 2.008 casi di violenza sessuale ai danni di oltre 6.100 persone. La rotta migratoria del Nord Africa è quella dove si sono verificati più episodi di violenza sessuale a danno delle donne, che risultano esserne le vittime e/o testimoni almeno il 65% delle volte. Tra il Nord Africa, l’Africa occidentale e l’Africa orientale, i trafficanti hanno perpetuato la maggior parte delle violenze (pari al 45%), senza però essere i soli: tra i principali autori, infatti, vediamo figurare anche membri delle forze di sicurezza e della polizia (il 19% – alcune ricerche riportano che tra essi siano inclusi anche gli agenti dell’agenzia europea FRONTEX), ignoti e bande criminali (rispettivamente il 12 a l’11%) e, tristemente, altri migranti (10%). La varietà di figure e di ruoli che si macchiano di tali crimini non fa che reiterare la pericolosità del viaggio per le donne e la brutalità che viene riversata su di loro, sia dai loro aguzzini che dai loro pari e da coloro che dovrebbero proteggerle.
La violenza sessuale può avvenire in ogni momento della traversata, nei campi di transito, sui barconi che attraversano il Mediterraneo e tentano di raggiungere le coste europee. Essa si manifesta sotto forma di stupri – che, secondo un rapporto di Amnesty International, sono talmente comuni da spingere le migranti ad assumere contraccettivi prima del viaggio (https://www.amnesty.it/libia-migranti-e-rifugiati-in-fuga-da-violenza-sessuale-persecuzione-e-sfruttamento/) – schiavitù sessuale, matrimoni e aborti forzati e mutilazione genitale. La maggior parte delle migranti non ha altra scelta che avere rapporti sessuali con i trafficanti per pagare i loro servizi e, una volta arrivate in Europa, tantissime sono costrette a prostituirsi, impossibilitate a sottrarsi al network di violenza e oppressione in cui sono entrate.
In questo contesto, sono tristemente noti i centri di detenzione in Libia. Nell’ultimo rapporto del Segretario Generale ONU António Guterres per la Missione di supporto dell’ONU in Libia, l’uso spropositato della violenza e degli abusi sessuali, ormai divenuto prassi comune in queste strutture, è stato duramente denunciato e condannato (https://reliefweb.int/report/libya/united-nations-support-mission-libya-report-secretary-general-s2021752-enar). Nonostante ciò, il coinvolgimento degli stessi responsabili carcerari in questo tipo di violenze, e l’approccio di omertà generale da parte delle autorità locali di fronte a queste ed altre forme di vera e propria tortura sottolineano la difficoltà nell’ eradicare questi fenomeni.
Nonostante il percorso lungo e impervio, Large Movements si oppone con forza alla violenza contro le donne in tutte le sue forme ed unisce la propria voce, in questa giornata ed in tutte le altre, a quelle che condannano questo fenomeno purtroppo diffuso e radicato in tutto il mondo, e si impegna ad accrescere la consapevolezza su questo tema con ogni mezzo.
Fonti e approfondimenti:
Kirby, P. (2020). Sexual violence in the border zone: the EU, the Women, Peace and Security agenda and carceral humanitarianism in Libya. International Affairs, 96(5), 1209-1226. Disponibile qui (in inglese): https://academic.oup.com/ia/article/96/5/1209/5901383
Freedman, J. (2016). Sexual and gender-based violence against refugee women: a hidden aspect of the refugee” crisis”. Reproductive health matters, 24(47), 18-26. https://doi.org/10.1016/j.rhm.2016.05.003
Robbers, G., Lazdane, G., & Sethi, D. (2016). Sexual violence against refugee women on the move to and within Europe. Entre Nous, 84, 26-29. Disponibile qui (in inglese): https://www.hhri.org/publication/sexual-violence-against-refugee-women-on-the-move-to-and-within-europe/
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